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                         Ernesto Paleani 
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							  Ernesto Paleani scrittore  | 
                           
                          
                            
 
 
  
  
                              
							  Croce aurea 
							  bizantina. Iconografia ed iconologia. Indagini e 
							  ricerca 
  
 
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                              2023 Croce aurea 
							  bizantina. Iconografia ed iconologia. Indagini e 
							  ricerca (Attorno all’arte, vol. 35) 
							  Urbino 2023.  ISBN 978-88-7658-247-9. 
                              
                              
							      
							   
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								  È molto difficile per un editore saper distinguere, 
								  nelle edizioni di carattere scientifico, gli 
								  argomenti che possano risultare inediti ed 
								  innovativi e che siano di facile lettura. La 
								  mia esperienza nella ricerca sia nel settore 
								  informatico che in quello archivistico mi ha 
								  portato il più delle volte a fare una scelta 
								  anche sugli autori che hanno pubblicato, 
								  valutando i testi e le fonti. 
								  
								  Ho avuto l’occasione di studiare questa particolare 
								  ed unica opera d’arte verificando le reliquie 
								  contenute in croci, cofanetti, copertine di 
								  antichi codici ed oggetti sacri tra l’IX ed il 
								  XIV secolo, in ambito sia bizantino che 
								  europeo. 
								  
								  Agli occhi dei devoti e dei pellegrini occidentali 
								  Costantinopoli ha rappresentato per secoli un 
								  contenitore dei più preziosi cimeli del 
								  Cristianesimo antico. Le sacre collezioni 
								  delle sue chiese, e in particolare il tesoro 
								  imperiale nella cappella bizantina di Pharos 
								  della chiesa della Vergine di Pharos. Era una 
								  cappella costruita nella parte meridionale del 
								  Gran Palazzo di Costantinopoli, che portava il 
								  nome della torre del faro (pharos) che sorgeva 
								  accanto ad esso.[1] Essa ospitava 
								  una delle più importanti collezioni di 
								  reliquie cristiane nella città, e fungeva da 
								  principale cappella palatina degli imperatori 
								  bizantini. costituirono a lungo un modello da 
								  imitare per le maggiori istituzioni e i 
								  principali centri urbani d'Europa.[2] 
								  
								  L'attrazione dei Latini verso i tesori sacri della 
								  capitale bizantina si manifestò nel peggiore 
								  dei modi durante la quarta crociata e 
								  nell'intero periodo del dominio franco 
								  (1204-1261), quando gran parte delle reliquie 
								  entrò nel bottino dei conquistatori e iniziò 
								  il suo esodo verso i paesi dell'Occidente. 
								  Tuttavia, benché la città venisse spogliata 
								  dei suoi oggetti più prestigiosi — come ci 
								  consta dalle fonti contemporanee — la sua fama 
								  di ricettacolo di tesori della cristianità non 
								  cessò per questo di rimanere fortemente 
								  radicata nell'immaginario comune. Nel corso 
								  del secolo XIV i viaggiatori non mancarono di 
								  ricordare la proverbiale ricchezza di oggetti 
								  sacri delle maggiori chiese, a partire da 
								  Santa Sofia, la celebre basilica rivestita di 
								  marmo e coperta d'oro. Per i Frati minori 
								  insediati a Pera, il quartiere sotto controllo 
								  genovese sulla sponda opposta del Corno d'Oro, 
								  la competizione con i luoghi devoti greci si 
								  rivelava quanto mai ardua; l'ambasciatore 
								  castigliano Ruy Gonzalez de Clavijo[3], che visitò la 
								  chiesa di San Francesco nel 1403, ebbe modo 
								  tuttavia di apprezzare un buon numero di cose 
								  sacre, tra cui anche un reliquiario del 
								  braccio di sant'Anna, a cui mancava un dito di 
								  cui si era appropriato l'imperatore Manuele II 
								  per la sua collezione personale, e una 
								  stauroteca contenente reliquie dei santi 
								  Giovanni e Dionisio che, in seguito a una 
								  controversia giudiziaria, il patriarca 
								  bizantino era riuscito ad ottenere indietro 
								  dai cavalieri latini che se ne erano 
								  impossessati durante il sacco del 1204[4]. 
								  
								  I Frati possedevano anche "una croce d’argento 
								  dorato ornata di pietre preziose e di perle, 
								  nel mezzo della quale era incastonata una 
								  piccola croce del legno della vera Croce".[5] 
								   
								  
								  Le ricerche di Anatole Frolow, che ha raccolto uno 
								  straordinario dossier sulle singole reliquie 
								  della croce, hanno posto in evidenza il ruolo 
								  svolto dai tesori di Costantinopoli come 
								  modello di riferimento per intere generazioni, 
								  se così si può dire, di oggetti sacri, sia sul 
								  piano delle forme di venerazione che su quello 
								  dell'elaborazione leggendaria[6]. 
								  
								  Sebbene il culto di frammenti della Vera Croce 
								  conosca in Occidente una lunga storia, si deve 
								  comunque rilevare che a lungo i Latini non 
								  ebbero dubbi sul fatto che la più preziosa 
								  reliquia della Cristianità, suddivisa in un 
								  numero ancora limitato di porzioni, fosse 
								  conservata nelle terre d'Oriente. Su questo 
								  punto ci informa con eloquenza la lettera, 
								  databile intorno al 1118[7], con cui il 
								  franco Anseau (Ansellus), cantore della chiesa 
								  del Santo Sepolcro a Gerusalemme, conferma al 
								  vescovo di Parigi Gerberto l'invio in dono di 
								  una porzione del sacro cimelio da lui ricevuto 
								  dalle mani della vedova del re di Georgia 
								  David; questa, posta in venerazione nella 
								  cattedrale di Notre-Dame e onorata in seguito 
								  con la cerimonia annuale del Lendit[8], consisteva in 
								  una piccola croce ricavata dal legno del 
								  suppedaneo e inserita in una più grande, fatta 
								  del legno stesso che servì per crocifiggere 
								  Cristo[9]. La sua 
								  importanza veniva posta in evidenza dal 
								  chierico crociato in quanto si trattava di una 
								  delle poche porzioni di una certa consistenza 
								  conservatesi dopo che la reliquia originaria, 
								  alla vigilia dell'invasione araba della 
								  Palestina, era stata spartita allo scopo di 
								  garantirne una migliore conservazione: 
								  
								  Itaque in Constantinopolitana urbe, praeter 
								  imperatoris crucem, sunt inde tres cruces, in 
								  Cypro duae, in Creta una, in Antiochia tres, 
								  in Edessa una, in Alexandria una, in Ascalone 
								  una, in Damasco una, in Hierusalem quatuor, 
								  Suriani habent unam, Graeci de Sancto Saba 
								  unam, monachi de valle Josaphat unam, nos 
								  Latini ad Sanctum Sepulcrum habemus unam, quae 
								  habet palmum et dimidium longitudinis, et 
								  pollicem unum latitudinis, et grossitudinis in 
								  quadro. Patriarcha quoque Georgianorum habet 
								  unam, rex etiam Georgianorum habuit unam, quam 
								  modo, Deo gratias, vos habetis. 
								  
								  Il quadro della distribuzione delle reliquie della 
								  Vera Croce che Anseau presenta al suo 
								  interlocutore è in gran parte dominato da un 
								  intento ben preciso, quello di sottolineare 
								  come i maggiori centri della Cristianità 
								  orientale, in gran parte sottratti all'Islam 
								  pochi anni addietro, siano beneficati dal 
								  possesso di frammenti più o meno grandi. 
								  Costantinopoli viene significativamente per 
								  prima nella sequenza e nel numero di cimeli 
								  posseduti, tra i quali spicca la cospicua 
								  porzione posseduta dai basileis nella 
								  collezione del Pharos, a cui si allude 
								  incidentalmente come a cosa di comune 
								  conoscenza[10]; l' antica 
								  sede patriarcale di Antiochia, di recente 
								  riguadagnata alla fede, 
								  può vantare il possesso di tre croci, 
								  mentre Alessandria, ancora sottomessa ai 
								  Mussulmani, si deve accontentare di una, al 
								  pari delle città di minor prestigio come 
								  Edessa, Ascalona o Damasco. Gerusalemme, la 
								  nuova capitale del Regno latino, è l'unica a 
								  poter eguagliare Bisanzio: frammenti hanno 
								  continuato per secoli ad esser oggetto di 
								  venerazione in tre dei più eminenti monasteri 
								  greci e siriani, ma indubbiamente quello di 
								  dimensioni più cospicue va identificato nella 
								  Santa Croce conservata nella basilica del 
								  Santo Sepolcro, rinvenuta per grazia di Dio 
								  nel 1099 e presto assurta al ruolo di vero e 
								  proprio palladio dei Latini di Terrasanta[11]. 
								   
								  
								  Nei secoli successivi le reliquie della Vera Croce 
								  erano destinate a diffondersi e moltiplicarsi 
								  su larga scala nei tesori delle cattedrali, 
								  delle abbazie e dei conventi dell'intera 
								  Europa cristiana. 
								  
								  Non è probabilmente un caso se ancora nel 1356, 
								  quando scrive il suo Livre des merveilles, 
								  Jehan de Mandeville[12] non ha dubbi 
								  nel dire che le memorie della Passione sono 
								  conservate a Costantinopoli, e che solo una 
								  parte della Corona e delle altre reliquie 
								  cristologiche fa bella mostra di sé nella 
								  cappella del re di Francia.[13] 
								  
								  “Nell'immaginario latino Costantinopoli, intesa come 
								  serbatoio pressoché illimitato di cimeli sacri 
								  e mirabilia cultuali, continuò per secoli a 
								  godere di un prestigio e di una fama pressoché 
								  insopprimibili. Così come costituì a lungo la 
								  "patria naturale" delle reliquie della 
								  Passione e il focolaio dei più importanti 
								  culti cristologici, allo stesso modo fece da 
								  sfondo all'elaborazione leggendaria dei 
								  diversi "sottoprodotti" del culto della Croce, 
								  come la crux mensuralis, la stauroteca 
								  sospesa per aria di Stavrovouni o la "croce 
								  della Lavanda dei piedi" nel Kollakion di 
								  Rodi. Siffatto patrimonio di credenze, se pure 
								  subì adattamenti e contaminazioni, sopravvisse 
								  di secoli alla conquista ottomana della Città 
								  nel 1453”.[14] 
								  
								  La Croce aurea bizantina, in esame, è un tesoro che 
								  si è salvato dopo secoli di ruberie, saccheggi 
								  e conservato ancora in Patria grazie alle 
								  Famiglie che hanno tramandato di generazione 
								  in generazione questa unica ed inestimabile 
								  opera d’arte cristiana. 
								  
									  
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [1]
										  
										  Bacci Michele, Vera Croce, 
										  vero ritratto e vera misura: sugli 
										  archetipi bizantini dei culti 
										  cristologici del medioevo occidentale, 
										  in Byzance et les reliques du Christ 
										  (Travaux et mémoires du Centre de 
										  recherche d'histoire et civilisation 
										  de Byzance. 
										  Monographies, 17; 20. congres international des etudes byzantines, Paris 
										  19-25 aout 2001) edite par Jannic 
										  Durand et Bernard Flusin Paris : 
										  Association des amis du centre 
										  d'histoire et civilisation de Byzance, 
										  2004, pp. 223-238;
										  
										  Holger A. Klein, Sacred 
										  Relics and Imperial Ceremonies at the 
										  Great Palace of Constantinople, in 
										  F.A. Bauer (a cura di), Byzas, 
										  n. 5, 2006, pp. 79–99. 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [2]
										  
										  Bacci Michele, Vera Croce, 
										  vero ritratto e vera misura, 
										  op. cit.; Su questi temi rimane a 
										  tutt'oggi fondamentale lo studio in 
										  due tomi di
										  
										  P. Riant, Exuviae sacrae 
										  Constantinopolitanae, Genève 1878; 
										  per la storia delle reliquie della 
										  Sacra Corona e della Santa Lancia cfr.
										  
										  F. De Mély, Exuviae sacrae 
										  Constantinopolitanae, Paris 1905. 
										  Sulla funzione eminentemente politica 
										  della collezione reliquiale dei 
										  basileis, modello principe per gli 
										  altri centri di potere del mondo 
										  cristiano, cfr. soprattutto B.
										  Flusin, Construire une nouvelle Jérusalem : Constantinople 
										  et les reliques, in L'Orient dans 
										  l'histoire religieuse de l'Europe. 
										  L'invention des origines, a cura di M. 
										  A. Amir-Moezzi e J. Scheid, Turnhout 
										  2000, p. 51-70, e ID., Les reliques 
										  de la Sainte-Chapelle et leur passé 
										  impérial à Constantinople, in Le 
										  trésor de la Sainte-Chapelle, catalogo 
										  della mostra (Parigi, 31 maggio-27 
										  agosto 2001), a cura di J. Durand e 
										  M.-P. Laffitte con D. Giovannoni, 
										  Paris 2001, p. 20-31, e i contributi 
										  raccolti nel volume 
										  Vostoënohristianskie relikvii/ Eastern 
										  Christian Relics, a cura di A. M. 
										  Lidov, Moskva 2003, tra cui
										  
										  M. Bacci, Relics of the 
										  Pharos Chapel: A View from the Latin 
										  West, p. 234-246; Byzance et 
										  les reliques du Christ, éd. J. 
										  Durand et B. Flusin (Centre de 
										  recherche d'Histoire et Civilisation 
										  de Byzance, Monographies 17), Paris 
										  2004. 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [3]
										  
										  Bacci Michele, Vera Croce, 
										  vero ritratto e vera misura, 
										  op. cit.; Ruy González de Clavijo 
										  (Madrid, ... – Madrid, 2 aprile 1412) 
										  è stato uno scrittore, diplomatico ed 
										  esploratore spagnolo di origine 
										  castigliana. 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [4]
										  
										  Bacci Michele, Vera Croce, 
										  vero ritratto e vera misura, 
										  op. cit.;
										  
										  Storoni, Viaggio a 
										  Samarcanda 1403-1406. Un ambasciatore 
										  spagnolo alla corte di Tamerlano, 
										  Roma 1999, p. 77-78. 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [5]
										  
										  Bacci Michele, Vera Croce, 
										  vero ritratto e vera misura, 
										  op. cit.;
										  
										  Robert De Clari, La conquête 
										  de Constantinople (1204), 82-83, 
										  ed. 
										  A. Pauphilet - E. Pognon, Historiens et chroniqueurs du Moyen Âge, Paris 
										  1952, p. 72-74. 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [6]
										  
										  Bacci Michele, Vera Croce, vero ritratto e 
										  vera misura, op. cit.;
										  
										  
										  A. Frolow,
										  La relique de la Vraie Croix. 
										  
										  
										  Recherches sur le développement d'un 
										  culte, Paris 1961. Cfr. anche
										  A. Legner, Reliquien in Kunst und Kult zwischen Antike 
										  und Aufklürung, Darmstadt 1995, in 
										  part. 
										  55-87. 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [7]
										  
										  Bacci Michele, Vera Croce, vero ritratto e 
										  vera misura, op. cit.;
										  
										  
										  G. Bautier,
										  L'envoi de la relique de la Vraie 
										  Croix à Notre-Dame de Paris en 1120, 
										  Bibliothèque de l'Éclole des Chartes 
										  129, 1971, p. 387-397. 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [8]
										  
										  Bacci Michele, Vera Croce, 
										  vero ritratto e vera misura, 
										  op. cit.;
										  
										  L. Levillain, Essai sur les 
										  origines du Lendit, Revue 
										  historique 155, 1927, p. 240-276. 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [9]
										  
										  Bacci Michele, Vera Croce, 
										  vero ritratto e vera misura, 
										  op. cit.; L'aspetto della 
										  reliquia, oggi scomparsa, ci è noto da 
										  una miniatura quattrocentesca, per cui 
										  cfr. J. HUBERT, Quelques vues de la 
										  cité au xve siècle dans un bréviaire 
										  parisien conservé à la Bibliothèque 
										  Municipale de Châteauroux, Mémoires de 
										  la Société nationale des antiquaires 
										  de France 77, 1928, p. 11-13. 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [10]
										  
										  Bacci Michele, Vera Croce, 
										  vero ritratto e vera misura, 
										  op. cit.; Il passo può essere 
										  accostato alle parole dell'anonima 
										  descrizione di Costantinopoli del 1150 
										  circa (Riant,
										  Exuviae, cit., II, p. 211), 
										  che, nel descrivere il tesoro del 
										  Pharos, enumera la "Crux dominica" 
										  e "eiusdem Crucis tria frusta". 
										  Esisteva dunque, accanto a tre piccole 
										  stauroteche, una porzione più cospicua 
										  e massiccia, che dev'essere 
										  identificata con la "pars maxima 
										  Ligni sanctae Crucis" menzionata 
										  dalla cosiddetta Lettera di Alessio 
										  Comneno a Roberto di Fiandra (ibid., 
										  p. 208) e che si riteneva traslata a 
										  Costantinopoli da sant'Elena, come 
										  sottolineano Guglielmo di Malmesbury (ibid., 
										  p. 211), l'abate islandese Nikulas 
										  Saemudarsson, che la colloca tuttavia 
										  in Santa Sofia (cfr. ibid., p. 
										  213). Va posto in evidenza come 
										  esistesse una sorta di corrispondenza 
										  tra la collezione cristologica del 
										  Pharos e quella della Grande Chiesa; 
										  l'Anonimo Mercati, un testo latino 
										  composto nel sec. XII sulla base di 
										  una precedente fonte patriografica 
										  greca, osserva a questo proposito che 
										  S. Sofia conserva il "lignum Domini 
										  et partes de sanctuariis omnibus quae 
										  sunt in magno palacio"; cfr. 
										  l'edizione di
										  
										  K. N. Ciggaar, Une 
										  description de Constantinople traduite 
										  par un pèlerin anglais, REB 34, 
										  1976, p. 211-267, in part. 246. Le 
										  fonti più antiche sono tuttavia 
										  concordi nell'attribuire alla Grande 
										  Chiesa il possesso della Vera Croce 
										  (intesa come il cimelio recuperato da 
										  Eraclio durante le guerre persiane) e 
										  di altre croci, trasportate da 
										  Niceforo Foca da Tarso : cfr.
										  
										  Flusin, Construire une 
										  nouvelle Jérusalem, cit., 
										  p. 51-54, 55, 61. 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [11]
										  
										  Bacci Michele, Vera Croce, 
										  vero ritratto e vera misura, 
										  op. cit.;
										  
										  Frolow, La relique, 
										  cit., p. 286-287; J.
										  
										  Folda, The Art of the 
										  Crusaders in the Holy Land 1098-1187, 
										  Cambridge (Mass.) 1995, p. 83. 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [12] 
										  I viaggi di Mandeville è un resoconto 
										  di viaggio del XIV secolo a firma di 
										  Jehan de Mandeville, anglicizzato cone 
										  sir John Mandeville. Il presunto 
										  resoconto iniziò a circolare tra il 
										  1356 e il 1366 probabilmente in lingua 
										  anglo-normanna.  
										  
										  
										  
										  Livre des merveilles, Marco Polo, 
										  Odoric de Pordenone, Mandeville, 
										  Hayton, 
										  etc. vol. 1 Berthaud, Paris 1907 
										  (Bibliothèque nationale, France. 
										  Département des manuscrits; 
										  Bibliothèque nationale de France.
										  
										  
										  Manuscript. Français 2810, fol. 1-96); M. G. F. Warner, pour le Roxburghe Club, The 
										  Buke of John de Maundeuill, ... 
										  edited together with the french text, 
										  notes, and introduction, Westminster, 
										  1889. 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [13]
										  Bacci Michele,
										  Vera Croce, vero ritratto e vera 
										  misura, op. cit.; 
									   
									  
										  
										  
										  
										  
										  
										  [14]
										  Bacci Michele,
										  Vera Croce, vero ritratto e vera 
										  misura, op. cit.; 
									   
								   
								  
							 
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								Biblioteche lettura del testo:  
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                        Ernesto Paleani: 
                        
   
  
  
  
 
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