Albrecht Dürer. Autoritratto 
							  Buccleuch. Iconologia e iconografia. Indagine e 
							  ricerca (Attorno all'arte, 16), Cagli. ISBN 
							  9788876582240.
                              
                              
							   
 
							  
								
								Questa mia nuova ricerca ha comportato una serie 
								di indagini per verificare l’autenticità 
								dell’opera di mano di Albrecht Dürer sia 
								attraverso i documenti che mi sono stati 
								consegnati sia i dati riportati dalle fonti per 
								determinare il periodo dell’opera, controllare 
								le analisi pregresse, il suo restauro, comparare 
								i particolari e definire l’artista.
								L’Autoritratto Buccleuch è stato così definito, 
								in quanto appartenente alla collezione scozzese 
								del 5° Duca di Buccleuch, in base alla 
								identificazione di una etichetta posta nel retro 
								del quadro con la data “Buccleuch/July 23 
								[18]89” è un’opera di cui abbiamo le prime 
								notizie, da parte di Giorgio Vasari, nelle sue 
								edizioni a stampa, che si differenzia da l’altro 
								autoritratto che è su tavola ed a Monaco.
Chi 
								conosce bene gli scritti del Vasari sulla vita 
								di Raffaello saprà bene che vi è scritto così:
								"gli mandò la testa d'un suo ritratto condotta 
								da lui a guazzo su una tela di bisso, che da 
								ogni banda mostrava parimente e senza biacca i 
								lumi trasparenti, se non che con acquerelli di 
								colori era tinta e macchiata, e de' lumi del 
								panno aveva campato i chiari, la quale cosa 
								parve maravigliosa a Raffaello."
E nella vita 
								di Giulio Romano: "Fra le molte cose rare che 
								aveva in casa sua, vi era in una tela di rensa 
								sottile il ritratto naturale d'Alberto Duro di 
								mano di esso Alberto, che lo mandò come altrove 
								si è detto, a donare a Raffaello da Urbino. Il 
								qual ritratto era cosa rara perché, essendo 
								colorito a guazzo con molta diligenza e fatto 
								d'acquarelli, l'aveva finito Alberto senza 
								adoperare biacca, et in quel cambio si era 
								servito del bianco della tela, delle fila della 
								quale, sottilissime, aveva tanto ben fatti i 
								peli della barba, che era cosa da non potersi 
								imaginare, non che fare, et al lume traspareva 
								da ogni lato."
La traduzione in sintesi del 
								testo del Vasari è che era stata fatta a guazzo 
								(misto colori ad olio e acqua) su tela di bisso, 
								la tela di cui è fatta quella del nostro 
								autoritratto. La tela di bisso o lino fine è il 
								materiale che è stato riscontrato nelle analisi 
								e nel restauro.
Raffaello dona dei disegni a 
								Durer tra cui uno è documentato:
L'uomo 
								all'estrema destra fa un passo in avanti con la 
								gamba sinistra, la gamba destra indietro e 
								posiziona il braccio sinistro mentre indica 
								qualcosa in lontananza con il braccio destro. A 
								destra di questa figura sulla pagina del disegno 
								c'è un'iscrizione in tedesco scritta da Albert 
								Durer e datata 1515: 1515 Raphahill de Urbin, 
								der so hoch peim Pobst geacht ist gewest hat der 
								hat dyse nackette Bild gemacht und hat sy dem 
								Albrecht Dürer gen Nornberg geschickt, Im sein 
								hand zu weisen. Traduzione: '1515 Raffaello di 
								Urbino, che è così apprezzato dal Papa, afferma 
								di aver realizzato questo disegno nudo e di 
								averlo inviato ad Albrecht Dürer a Nornberg 
								[per] mostrargli / dimostrargli la sua mano” Un 
								disegno preparatorio documentato di uomini di 
								Raffaello inviato a Durer. La figura di estrema 
								destra di Raffaello nel disegno viene quindi 
								vestita dall'artista e dipinta nella scena 
								all'estrema sinistra del suo affresco La 
								battaglia di Ostia (1514-1517) nelle Stanze 
								Vaticane.
Ho affrontato questo tema viste le 
								dichiarazioni attraverso le quali è stato 
								possibile determinare il percorso dell’opera e 
								la sua sparizione poi in seguito per secoli ed 
								infine ritrovata nel mercato del collezionismo 
								privato: Raffaello Santi; Giulio Romano; 
								Raffaello figlio di Giulio Romano; Jacopo Strada 
								antiquario; Disperso; Henry Farrar; John Heugh 
								di Glasgow; 5° Duca di Buccleuch, castello di 
								Drumlanring; antiquariato; attuale proprietario.
								Altra indagine e verifiche, da parte mia, sono 
								state fatte sulle analisi effettuate con le 
								radiografie presso l’Istituto de la “Lumiere 
								Technology” di Parigi e sulle analisi fatte a 
								Zurigo presso il laboratorio tecnico-scientifico 
								di microanalisi del prof. Dr. Elisabeth Jagers e 
								del Dr. Erhard Jagers.
Le analisi:
ETH - 
								Eidgenössische Technische Hochschule Zürich, 
								Swiss Federal Institute of Technology Zürich:
								“…L'immagine mostra un ritratto di un uomo con i 
								capelli lunghi. Indossa un indumento con collo 
								di pelliccia. A sinistra della sua testa si vede 
								un'iscrizione gialla. Il dipinto non è firmato. 
								È attribuito ad Albrecht Dürer. Il tempo di 
								origine stimato è di circa 1500 anni.
…Il 
								supporto è in tela di lino molto fine. La tela 
								originale è raddoppiata con teli nuovi. I bordi 
								originali sono parzialmente persi. Le tele sono 
								fissate su un asse di sambuco in una struttura a 
								croce centrale. Sulla struttura di legno sono 
								visibili alcuni vecchi adesivi e numeri. Il 
								dipinto ha un fondo bianco grigiastro.
La 
								vernice è un colore a olio stabile. Nella 
								maggior parte dei casi viene applicato in modo 
								sottile. Parti leggermente pastose possono 
								essere viste nelle parti bianche. Le tracce del 
								pennello sono evidenti a volte. La vernice viene 
								applicata bagnata su bagnato [tempera], in modo 
								che i colori finali vengano miscelati sulla 
								tela.
Alla luce UV si possono vedere alcuni 
								ritocchi o vernici eccessive. Alcuni vecchi 
								ritocchi possono essere stati oscurati solo in 
								modo oscuro.
Gli strati di vernice mostrano 
								un craquelé con invecchiamento omogeneo. In 
								alcune parti si possono osservare rotture 
								causate meccanicamente e grossolanamente.
								Tutti i materiali identificati erano materiali 
								di artisti ben utilizzati negli anni di circa 
								1500 leganti è, secondo i suoi dati 
								spettroscopici, ben polimerizzato e 
								uniformemente invecchiato.
Soprattutto 
								l'identificazione del giallo pigmento piombo 
								stagno giallo, che non è mai stata identificata 
								in dipinti con una data di origine successiva al 
								1700 è un argomento per il fatto che si tratta 
								di un vecchio dipinto. L'iscrizione gialla sul 
								lato frontale mostra lo stesso pigmento.
								Pertanto, i risultati degli esami sui materiali 
								pittorici non sono in contraddizione con 
								l'attribuzione del dipinto ad Albrecht Dürer.”.
								Radiografie presso l’Istituto de la “Lumiere 
								Technology” di Parigi:
“Le radiografie 
								rilevano la omogeneità dell’opera nei primi del 
								1500 e non fatta con materiali postumi.”
Il 
								restauro dell’opera è stato eseguito dalla 
								dott.ssa Sara Penco di Roma ed ha rilevato la 
								tecnica, la tela di bisso ed il periodo nel 
								1500.
Note del restauro, riporto solo alcune 
								parti:
“Il dipinto misura cm. 63 x cm. 49 e 
								raffigura l’effige di Albert Dürer.
Il ritratto è 
								facilmente riconducibile alla famosa tavola 
								conservata presso l’Alte Pinakothek di Monaco di 
								Baviera. Malgrado il fatto che la tela in 
								restauro replichi fedelmente il famoso dipinto 
								di Monaco, ad un osservatore attento non possono 
								sfuggire alcune singolari caratteristiche che 
								impongono altrettante non trascurabili 
								riflessioni.
Il primo quesito è il seguente: 
								perché un copista avrebbe replicato fedelmente 
								il ritratto su tavola di Monaco, usando una tela 
								anziché il consueto supporto ligneo 
								caratteristico della manifattura fiamminga?
								Proprio l’inusuale supporto usato per dipingere 
								il ritratto (una tela sottile e pregiata) e la 
								straordinaria quanto evidente qualità pittorica 
								del dipinto in restauro, hanno reso 
								indispensabile intraprendere un’accurata ed 
								approfondita indagine preliminare, da anteporre 
								all’intervento di restauro.
Una prima 
								osservazione dell’opera d’arte ha permesso di 
								stabilire che il dipinto era già stato 
								sottoposto ad almeno un precedente intervento di 
								restauro, durante il quale la tela è stata 
								rifoderata.
In concomitanza con l’intervento 
								di rifodero, l’originale telaio fisso è stato 
								sostituito con uno mobile e più idoneo alla 
								conservazione del dipinto, perché più adatto ad 
								assecondare i naturali “assestamenti” dei 
								diversi materiali che compongono l’opera d’arte.
								Queste considerazioni mi hanno indotta ad 
								ipotizzare la presenza di ridipinture molto più 
								invasive di quanto si potesse immaginare 
								attraverso una prima indagine.
…La pellicola 
								pittorica originale suggeriva una datazione 
								riconducibile al XVI secolo, mentre le 
								caratteristiche pittoriche del fondo del dipinto 
								inducevano in inganno ai fini della corretta 
								identificazione del periodo storico di 
								appartenenza del manufatto: tanto che era quasi 
								legittimo indurre l’osservatore poco attento a 
								collocarlo in un periodo storico identificabile 
								tra il XVIII ed il XIX secolo.
Tuttavia, ero 
								convinta che la materia pittorica originale 
								confermasse che il dipinto era molto più antico. 
								Escludevo, dunque, una datazione riconducibile 
								ai primi anni del XVI secolo.
L’indagine 
								preliminare aveva evidenziato la probabilità che 
								tutto il fondo del manufatto fosse stato 
								completamente manomesso nel corso di un datato 
								intervento di restauro.
A conferma di questa 
								ipotesi notavo che i contorni della figura, 
								soprattutto in prossimità di alcuni riccioli che 
								sarebbero dovuti terminare sovrapponendosi allo 
								sfondo, si presentavano troppo “scontornati” e 
								che il verde era decisamente più “scadente” 
								rispetto alla elevata qualità del resto della 
								pittura (sia come pigmento che come 
								pennellata).”.
Ho rintracciato altre 
								pubblicazioni storiche che citano questa opera 
								perché si differenzia come “tela di bisso” 
								dall’altra su “tavola” di cui non abbiamo mai 
								una illustrazione facendo sempre riferimento 
								come “Autoritratto con pelliccia di Albrecht 
								Dürer”.
In base a questi riferimenti 
								preciserò che la prima opera fu quella su tela e 
								dopo che Raffaello la ebbe in dono e mandò un 
								suo disegno nel 1515 – come in seguito vedremo - 
								in cambio del favore, il nostro Dürer la rifece 
								per sé su tavola.
Essendo iniziate le 
								celebrazioni dei 500 anni della morte di 
								Raffaello (Urbino, 28 marzo 1483 – Roma, 6 
								aprile 1520) voglio dedicare ai due famosi 
								artisti questa pubblicazione, una delle più 
								importanti dell’artista tedesco definito da 
								molti “il Leonardo tedesco”.
Nella 
								pubblicazione ho sviluppato il rapporto 
								dell’Autoritratto del Dürer dove il suo viso 
								riprende il “volto di Cristo” della sacra 
								Sindone, il “volto di Cristo” nel velo della 
								Santa Veronica ed il “volto di Cristo” di 
								Manoppello.
Punto centrale è il Volto di 
								Cristo.
Il rapporto tra le sacre 
								rappresentazioni è il tema centrale 
								dell’Autoritratto del Dürer. La Sindone o il 
								Velo di Cristo di Manoppello, o la stessa 
								rappresentazione fin dai primi mosaici del IV 
								sec. sono ripresi come esempio di continuità da 
								parte degli artisti.
Anno 1500- 1502 
								avvengono due importanti fatti: l’ottavo 
								Giubileo indetto da Alessandro VI e la 
								costruzione nel 1502 a Chambéry da parte dei 
								Savoia nella loro capitale una cappella apposita 
								per conservare la Sindone.
Per i Giubileo: 
								L'ottavo Giubileo fu indetto il 28 marzo 1499 da 
								papa Alessandro VI della famiglia dei Borgia, 
								grazie alla bolla Inter multiplices. Ad 
								Alessandro VI si deve il rito di aprire e 
								chiudere il Giubileo con l'apertura e la 
								chiusura della Porta Santa. Inoltre, il Papa 
								volle che Porte Sante delle quattro basiliche 
								fossero aperte contemporaneamente, riservando a 
								sé l'apertura della Porta Santa di San Pietro. 
								Il liturgista e cerimoniere pontificio Giovanni 
								Burcardo preparò un apposito cerimoniale; così 
								la Vigilia di Natale 1499, Alessandro VI 
								personalmente colpiva con alcuni colpi di 
								martello il muro della Porta Santa e poi, in 
								ginocchio, ne varcava la soglia per primo il 13 
								aprile 1500. Lo stesso Papa guidò una 
								processione penitenziale.
Fu Papa Alessandro 
								VI, nel 1502, su richiesta dei Savoia, a 
								stabilire il giorno 4 maggio come festa 
								liturgica per il riconoscimento della Sindone.
								Per la Sindone: All'incirca nel 1415 il conte 
								Umberto de la Roche, marito di Margherita di 
								Charny, figlia di Goffredo II, prende in 
								consegna il lenzuolo per metterlo al sicuro in 
								occasione della guerra tra la Borgogna e la 
								Francia. Margherita si rifiuta poi di 
								restituirlo alla collegiata di Lirey 
								reclamandone la proprietà. I canonici la 
								denunciano, ma la causa si protrae per molti 
								anni e Margherita comincia a organizzare una 
								serie di ostensioni nei viaggi in giro per 
								l'Europa (intanto Umberto muore nel 1448). Nel 
								1449 a Chimay, in Belgio, dopo una di queste 
								ostensioni il vescovo locale ordina 
								un'inchiesta, a seguito della quale Margherita 
								deve mostrare le bolle papali in cui il telo 
								viene definito una raffigurazione e come 
								conseguenza l'ostensione venne interrotta e lei 
								venne espulsa dalla città. Negli anni successivi 
								continua a rifiutare di restituire la Sindone 
								finché, nel 1453, la vende ai duchi di Savoia. 
								Successivamente, nel 1457, a causa di questi 
								suoi comportamenti viene scomunicata.
I 
								Savoia conservano la Sindone nella loro 
								capitale, Chambéry, dove nel 1502 fanno 
								costruire una cappella apposita; nel 1506 
								ottengono da Giulio II l'autorizzazione al culto 
								pubblico della Sindone con messa e ufficio 
								proprio.
Dürer, Raffaello, Leonardo da Vinci 
								conoscevano bene la esposizione della Sindone a 
								Chambéry.
Raffaello ha voluto il ritratto di 
								Dürer, e Leonardo ha fatto il Salvator Mundi. Al 
								centro il volto di Cristo.
Nella 
								pubblicazione Albrecht Dürer. Autoritratto 
								Buccleuch. Iconologia e iconografia. Indagine e 
								ricerca in qualità sia di editore che di 
								scrittore ho voluto far omaggio inserendo 
								un’opera pittorica disegnata con pastello 
								morbido tutto colore della pittrice riminese 
								Denise Camporesi.
Perché ho scelto la 
								Camporesi? Ultimamente l’artista ha dipinto 
								sette grandi opere denominate “Molecole 
								d’Angeli” di cui tre saranno esposte 
								permanentemente nell’Ala Nuova dell’Ospedale di 
								Rimini. Essendo il curatore per organizzare una 
								mostra personale a Roma sugli Angeli e Ritratti 
								fatti dalla Camporesi, ho voluto che mi 
								rappresentasse una immagine legata a quanto ho 
								scritto sull’Autoritratto del Dürer, donato a 
								Raffaello Santi, e il Volto di Cristo.
								L’opera della Denise affascina per il 
								collegamento con le antiche rappresentazioni: 
								“Angioletto con il Velo di Cristo o volto della 
								Sindone” come la Santa Veronica (la cui 
								traduzione dal greco è Vera Icona) dove le 
								sfumature colorate, gli occhi dolci e teneri, le 
								manine che sorreggono il velo trasparente con il 
								volto della Sindone, i piedini sorretti dalle 
								nuvole, fanno di questo un capolavoro da 
								ricordare affiancandolo alle opere di grandi 
								artisti.
L’ispirazione della Camporesi deriva 
								nel rappresentare in forma moderna un angioletto 
								antico che sorregge un telo finissimo o telo di 
								bisso marino lavorato dove è impressa l’immagine 
								del volto di Cristo così come fu rilevato dalle 
								analisi radiografiche a Torino, dove è 
								conservato.
Questo 2020 è l’anno che si 
								ricorderanno sia i 500 anni dalla morte di 
								Raffaello, ma anche personaggi come Leonardo da 
								Vinci con il suo Salvator Mundi e Dürer con il 
								suo Autoritratto come fulcro centrale legato al 
								volto ed il corpo di Cristo. Lo stesso Salvator 
								Mundi rappresenta il viso del Cristo come detto 
								sopra anche per Dürer.
Il rapporto tra le 
								sacre rappresentazioni e la Sindone è il tema 
								centrale dell’Autoritratto del Dürer. La Sindone 
								o il Velo di Cristo di Manoppello, o la stessa 
								rappresentazione fin dai primi mosaici del IV 
								sec. sono ripresi come esempio di continuità da 
								parte degli artisti fino a Denise Camporesi.
								Questo 2020 è l’anno che si ricorderanno sia i 
								500 anni dalla morte di Raffaello, ma anche 
								personaggi come Leonardo da Vinci con il suo 
								Salvator Mundi e Dürer con il suo Autoritratto 
								come fulcro centrale legato al volto ed il corpo 
								di Cristo.
							
							
							
                              
                                
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