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UN PRESEPE DEL PERUGINO
Fu Pietro persona di assai poca religione, e non se gli poté mai far
credere nell’immortalità dell’anima: anzi con parole accomodate al
suo cervello di porfido, ostinatissimamente
ricusò ogni buona via.
Aveva ogni sua speranza ne’beni della fortuna, e per danari avrebbe
fatto ogni male contratto.
Guadagnò molte ricchezze, e in Fiorenza murò e comprò case, ed a
Perugina ed a Castello della Pieve acquistò molti beni stabili. Tolse
per moglie una bellissima giovane, e n’ebbe figliuoli; e si diletto
tanto ch’ella portasse leggiadre acconciature e fuori ed in casa, che
si dice che egli spesse volte l’acconciava di sua mano.
(G. Vasari, Le Vite, 1568).
Il ritratto di un uomo tutt’altro che spirituale, niente affatto
credente, interessato piuttosto alla realtà mondana, al denaro, agli
agi e alle donne: è questo ricordo che Giorgio Vasari ci lascia del
grande pittore umbro Pietro Vannucci detto il Perugino.
Ma la pittura di questo grande artista, attivo tra ‘400 e ‘500,
parla
un linguaggio diverso che sembra sostanziato da una forte carica
religiosa: "nel Perugino semplicemente non c’è tenebra, nessun
errore. Qualsiasi colore risulta seducente, e tutto lo spazio è luce.
Il mondo, l’universo appare divino. Ogni tristezza rientra
nell’armonia generale;
ogni malinconia nella pace." (J. Ruskin, Ariadne Florentia, 1876).
Quando infatti si pensa all’arte del Perugino non si può fare
a meno
di ricordare il suo intervento nella decorazione della Cappella Sistina
in Vaticano, commissionatagli nel 1481 da Papa Sisto IV, con
la Consegna delle chiavi a San Pietro,o la celebre Apparizione della
Vergine a San Bernardo (1493) di Monaco, e ancora il Compianto sul
Cristo morto (1495) della Galleria Palatina,
e tanti altri dipinti di soggetto sacro giustamente famosi sia
per l’equilibrio della composizione che per la serena grazia
dei personaggi.
Tali considerazioni sono tanto più valide per un’opera come
l’affresco di Montefalco, realizzato dal Perugino in una fase
piuttosto avanzata della sua attività quando la gentilezza soave delle
espressioni e il paesaggio umbro diventano una vera
e propria costante del suo operare.
Il dipinto, realizzato dal maestro nel 1503 per i Francescani
del convento, orna una grande edicola con nicchia centrale decorata a
finta architettura (la rimozione dell’altare ha notevolmente alterato
l’aspetto della cappella).
Nell’estradosso dell’arco è ambientata l’Annunciazione sul
cui fregio si legge AVE MARIA GRATIA PLENA DOMINUS TECUM (Ave Maria
piena di grazia, il Signore è con te); la semi cupola centrale è
affrescata con l’Eterno fra angeli, e nel registro inferiore si svolge
la scena principale con la Natività. Il tutto
è incorniciato e concluso da una ricca decorazione architettonica.
L’opera, di eccellente qualità, è chiaramente confrontabile
con altri lavori eseguiti da Perugino in quegli stessi anni,
e in particolare con la Natività del Collegio del Cambio
e con quella di Monteripido di Perugia: molto simile risulta
la costruzione dello spazio con la capanna aperta, che organizza il
complesso impianto prospettico sotto al quale si compie
il miracolo della Natività; e simile è anche il paesaggio di fondo,
con una limpida veduta delle colline umbre che il Perugino "
negli ultimi anni della vita andava inghirlandando con la sua arte
d’oro, schiudendo le mura di chiesette e tabernacoli a cieli
e orizzonti di ineffabile dolcezza. (Berenson, I pittori italiani
del Rinascimento, 1897).
Talvolta lo stile del tardo Perugino risulta ripetitivo, standardizzato
(in vecchiaia utilizzò spesso gli stessi cartoni, riproponendo quindi i
medesimi disegni), tanto da far parlare Longhi di "editoriale
peruginesca": ma le sue immagini, composte con araldico equilibrio,
i suoi personaggi,
con quell’elemento di indeterminatezza psicologica,
ben rispondevano ad un’esigenza di visualizzazione di scene sacre
suscitate da diffuse pratiche devozionali; il suo stile era
la risposta più appropriata ad una committenza che voleva riconoscere
nelle Madonne e nei Santi quella giusta dose
di affettata virtù, ordine, equilibrio e ascetismo.
Ma come lavorò il Perugino all’affresco di Montefalco da
un punto di vista tecnico?
La parete è stata dapprima preparata con uno strato di malta composta
di calce e sabbia grossolana, detta arriccio. Sull’arriccio Perugino
ha tracciato un disegno di massima,
la sinopia ancora visibile in basso a sinistra.
E’ stato quindi steso il secondo strato di intonaco, detto intonachino
destinato ad accogliere il colore: quest’ultimo viene steso
sull’intonachino ancora fresco (da cui il nome "affresco");
quando l’intonachino si asciuga accorpa in sé il colore fissandolo
attraverso un processo che prende il nome di carbonatazione. Era
necessario programmare la porzione di intonachino
da dipingere giorno per giorno ed è per questa ragione che
le superfici preparate per l’affrescatura prendono il nome
di giornate.
Perugino, per organizzare lo spazio sulla parete, si è servito
di compassi e guide rettilinee e della cosiddetta battitura di filo:
impronte regolari lasciate da una corda tesa fra due punti
e "sporcata" di pigmento rosso, ampiamente utilizzata nella
zona delle paraste laterali.
Il disegno è stato riportato dal cartone sul muro con la tecnica dello
spolvero che consiste nel battere un tampone di carbone sul disegno,
appoggiato alla parete e bucherellato in modo
da far passare la polvere colorata sul muro.
I colori usati dal pittore sono stati ricavati da terre naturali
di diverse tonalità (rosso, giallo, verde) e dall’azzurro di smalto;
mentre il poco oro utilizzato è stato dato a missione, cioè applicato
con un legante oleoso sopra il colore (per esempio sull’abito della
Vergine).
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