Melandri: la mia guerra per la cultura.
INTERVISTA al
"IlNuovo.it"
IlNuovo.it del 14 novembre 2000
(di Giarcarlo Bosetti)
Dopo un lungo braccio di ferro con Visco e Del Turco ha ottenuto la detassazione del denaro donato per iniziative culturali. Il ministro Giovanna Melandri, in esclusiva, racconta le sue battaglie culturali e politiche.
Secondo i sondaggi è il ministro più popolare del centrosinistra. Ora che per merito suo, finalmente, donazioni e mecenatismi per la cultura diventano "deducibili" (parola difficile ma magica, di cui a nessuno sfugge il senso), dovrebbero renderlo ancora più amato, questo ministro della Cultura che risponde al nome di Giovanna
Melandri. Infatti, il Senato ha approvato definitivamente pochi giorni fa il collegato fiscale che accompagnava la finanziaria. Il provvedimento mette a regime sgravi fiscali che possono generare investimenti per 500 miliardi e contiene una norma che rende pienamente detraibili dal reddito di impresa tutte le erogazioni concesse dalle aziende in favore di istituzioni culturali, sia pubbliche che private. Una misura di questo genere era da lungo tempo attesa ed apre la strada a molte novità.
Come si è arrivati, ministro, a questa soluzione?
Da trent'anni in Italia si affermava che per valorizzare il nostro patrimonio culturale e la nostra straordinaria rete di talenti c'era bisogno di portare mezzi privati in questo campo. Finalmente ci siamo riusciti. E l'abbiamo fatto prendendo il meglio del modello americano, dato che la norma prevede per le imprese la deducibilità piena dal loro reddito, oltretutto senza tetto dal punto di vista dei donatori. Le dico subito anche che non recediamo dal meglio del modello europeo, cioè dall'idea che nel settore culturale ci vuole anche un investimento dello Stato, che in questi anni ha aumentato moltissimo le risorse per la cultura.
Saranno i donatori a scegliere i loro obbiettivi?
Ovviamente. E assisteremo anche ad un fenomeno interessante: i privati si orienteranno verso i soggetti, le istituzioni, i musei pubblici e privati che mostreranno maggior prestigio e forza, innescando una virtuosa competizione dal punto di vista della qualità dell'offerta culturale.
Perché questa misura "americana", da tempo desiderata anche da molti industriali e mecenati, è tardata tanto?
Perché solo in questa legislatura siamo riusciti a mettere al centro delle politiche pubbliche le esigenze economiche del settore culturale. Abbiamo prodotto un risultato da cui non si tornerà più indietro: siamo riusciti ad elevare un'amministrazione che era considerata marginale e residuale al rango di un'amministrazione che conta e che concorre a definire le scelte di politica economica. L'aspetto più concreto di tutto ciò è che oggi la cultura italiana, oltre a rappresentare un fattore decisivo per l'identità e la civiltà del nostro Paese, è diventato un settore produttivo, d'investimento.
Come ha convinto le Finanze a sostenere il provvedimento?
Con le Finanze ho avuto un lungo braccio di ferro. Per un anno ho incalzato su questo punto prima Visco e poi Del Turco. Temevano che questa norma avrebbe allargato la maglia dell'Irpeg al punto tale da diventare un gancio per l'evasione fiscale. Per cui l'abbiamo dovuta concepire e studiare molto bene. La difficoltà stava nel trovare un equilibrio: si è deciso che il ministro dei Beni e delle Attività culturali dovrà sentire la conferenza Stato-Regioni ogni sei mesi per rivedere la lista dei beneficiari della norma. Infatti, mentre dal punto di vista degli erogatori la norma è illimitata e senza tetto, dal punto di vista delle istituzioni culturali c'è un perimetro.
Un momento: che cosa vuol dire "perimetro"? Che ci sarà una lista degli enti ammessi al beneficio?
Il primo passaggio sarà questo: individuare insieme alla conferenza Stato-regioni le grandi categorie, poi il ministro provvederà ad aggiornare la lista con un decreto, per ovviare alla nascita di nuovi soggetti. La mia idea è che il perimetro sia il più ampio possibile, ma non deve mancare un rigore nella verifica, altrimenti sarebbe veramente una maglia per l'evasione fiscale. Non è una norma con cui si può pensare di finanziare un'associazione culturale fasulla. Comunque, la vera svolta è avere introdotto nell'ordinamento un principio per cui si associano i privati ad uno sforzo nelle politiche culturali e anche per rimediare ai guasti fatti al paesaggio italiano. Dunque, esenzione anche per investimenti destinati alla cultura del territorio e alla promozione della bellezza del paesaggio.
Per fare esempi: Italia nostra, il FAI?
Certamente. E penso che questo aspetto - il paesaggio - debba essere una delle carte d'identità del progetto del centro sinistra, assieme alla scelta che in assoluta continuità hanno fatto Prodi, D'Alema e Amato, di dire: mai più un condono edilizio. Non è stato facile opporre le ragioni della tutela del paesaggio alle ragioni dello sviluppo incondizionato e indeterminato: nel bilancio di fine legislatura questa è una delle scelte strategiche che il centro destra non è stato in grado di fare. Non si tratta di polemica politica, questo è un punto di sostanza, una prospettiva, per vedere se il riformismo italiano è in grado di fare i conti col fatto che per decenni noi italiani abbiamo devastato, allagato e degradato il nostro territorio.
È sicura che il nuovo provvedimento sia al riparo da sballottamenti parlamentari?
Sì, ne sono sicura. Era nel collegato fiscale, quindi da qualche giorno è già una legge dello Stato. Nei prossimi mesi cominceremo a renderla operativa attraverso un tam-tam nelle conferenze Stato regioni, poi emaneremo i primi decreti di definizione dei soggetti che possono beneficiarne. Presenterò questo provvedimento agli imprenditori e alle istituzioni culturali del Veneto, della Lombardia, del Piemonte, probabilmente anche della Campania e del Lazio, spiegando loro che è arrivato il momento che l'impresa investa nella cultura e che la cultura si apra al mercato. Le sponsorizzazioni, naturalmente, si muoveranno dove l'offerta culturale sarà più prestigiosa, importante e internazionale.
C'è un aspetto della norma che dipende dalla capacità di chi la deve applicare: è giusto, quindi, alimentare i meccanismi di controllo e vigilanza dei soggetti beneficiari. Qual è la posizione del Polo sul tema? Questa misura dovrebbe essere anche nella loro linea...
Teoricamente sì, ma in realtà non lo è, forse per distrazione.
Sinceramente lascia allibiti il loro silenzio su questi temi. Sono colpita dal fatto che nei ventuno punti del programma che Berlusconi ha presentato quest'estate non ci sia nulla su questo argomento. I punti programmatici del Polo sono totalmente ambigui sulla tutela del paesaggio ed io ribadisco che tutela del paesaggio e tutela del patrimonio storico e culturale in Italia sono la stessa cosa. Basti pensare alla Valle dei Templi ad Agrigento.
Lei vuol dire che nel programma del Polo c'è odore di altri condoni, in vista delle elezioni?
Sono ambigui e considerano questa ambiguità sul condono una moneta per acquistare facile consenso elettorale, ma non dicono nulla neppure sul settore culturale. La marginalità cui è relegata la cultura è impressionante. Il Polo non ha una politica per la cultura. Fini afferma che se vincesse le elezioni cancellerebbe i fondi pubblici al cinema. E io continuo a sentire un inquietante silenzio sulle politiche di tutela, che sono politiche che spesso contrastano con l'immediato interesse locale.
Già ora ci sono alcuni, non molti, privati desiderosi di investire nella musica, nell'arte e nella cultura: il nuovo provvedimento farà più spazio ai mecenati, ma lo stimolo fiscale farà venire la voglia anche a chi non ce l'aveva. Ottima cosa, ma dal punto di vista elettorale per il centrosinistra gli effetti scatenanti forse si vedranno solo quando le elezioni saranno già avvenute.
È indubbio che gli effetti di questa norma si vedranno nel prossimo anno fiscale, ma la politica di questi anni, investendo maggiori risorse sulla cultura, ha già prodotto alcuni risultati visibili. Il cittadino si è accorto che i musei italiani, che fino a quattro anni fa chiudevano alle 14.30 come le Poste, oggi sono aperti fino alle 20.00, che sono meno polverosi e iniziatici e più comunicativi, perché stanno diventando luoghi della società.
Certo non sono argomenti che eccitano i giornali come le liti sull'Irpeg.
La politica e il governo hanno dato poca importanza alla cultura, ma l'identità del nostro Paese sta anche lì: c'è un grande bisogno di ritrovare la bellezza, le radici. Quando a Montefalco, un piccolo paese dell'Umbria, abbiamo inaugurato il Ciclo di S.Francesco di Benozzo
Gozzoli, le comunità si sono strette attorno alla loro storia, alla loro arte, ritrovando una parte della propria identità. Tutto ciò non appare sulle prime pagine dei giornali, ma in giro per l'Italia abbiamo prodotto molte situazioni del genere. Sono più di duecentocinquanta i cantieri di restauro che stiamo chiudendo in questi anni: non ci sono stati solamente il Cenacolo di Piero della Francesca ad Arezzo e la Domus aurea a Roma, ma ci sono anche
Paestum, Urbino, L'Aquila, Benevento. Queste comunità vedono riannodarsi il filo della loro storia e ne vivono gli effetti come un antidoto al degrado del territorio e al saccheggio.
Il suo ministero, o meglio proprio lei come ministro, dal punto di vista della popolarità, è in controtendenza a giudizio degli esperti di sondaggi? Come mai gli altri pezzi del governo non producono altrettanto consenso?
Io ho il privilegio di occuparmi di un settore in cui i valori positivi, in un momento in cui si recupera in efficienza, sono più evidenti. Non ignoro il fatto, che introducendo la stessa efficienza nella gestione di un ospedale o di una stazione probabilmente non si produrrebbero gli stessi effetti di identificazione, perché la gioia di trovare un museo aperto quando era chiuso o di vedere il Cenacolo di Leonardo da Vinci finalmente restaurato è sicuramente qualcosa di positivo che lascia tracce più forti. Tuttavia, ad esempio, la proposta di Veronesi di creare degli ospedali più umani, mi sembra una bellissima idea.
E infatti anche Veronesi è uno che nei sondaggi se la cava molto bene.
Un'altra grande visione strategica, che avrei voluto vedere raccolta dal centrosinistra e che mi piacerebbe fosse una parte importante del programma di Rutelli, è l'idea di Carlo Rubbia del solare termico, capace di abbassare il grado di dipendenza dell'Italia dal petrolio e dalla tassa degli sceicchi. Il premio Nobel per la Fisica, che dirige l'Enea, afferma che con un piano di medio termine neppure tanto oneroso si potrebbe sfruttare quest'altra risorsa italiana, risorsa soprattutto meridionale. Dobbiamo sfruttare meglio il molto che abbiamo: dopo aver ignorato per decenni la sua bellezza e la sua arte, l'Italia dovrebbe decidersi a investire su se stessa e di piacersi.
(14 NOVEMBRE 2000, ORE 14:45)
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