"Atlantis.
            Indagine
            bibliografica dalle fonti di Platone fino agli scrittori moderni e le
            ipotetiche ricostruzioni cartografiche"
              
              a cura di
            Ernesto Paleani.. 
 
            
            E
            se fosse un malinteso?
            di
            Marco Picasso
             Certamente
            tutte le relazioni che abbiamo ascoltato in questi due giorni sono
            davvero affascinanti. Abbiamo ascoltato la dimostrazione
            dell’esistenza non di una Atlantide, ma di parecchie Atlantidi.
            Tutto sommato, la ricerca del continente perduto che deriva dai
            famosi dialoghi di Platone è stata fruttuosa. Forse non si è
            trovata l’Atlantide, quella supposta da Platone, ma potrebbero
            essere state scoperte varie civiltà perdute.
            Ma Platone
            pensava veramente che Atlantide fosse esistita? Lo ha mai affermato
            veramente? E se fosse un malinteso?
            Tutti in effetti
            basano le loro ricerche su due dialoghi: il Crizia e, nelle pagine
            finali, il Timeo. Sorvolando sul fatto che la maggior parte degli
            studiosi o ricercatori di Atlantide si basano su traduzioni di
            traduzioni di questi due dialoghi senza mai averli analizzati nella
            versione originale, vediamo rapidamente in cosa consistevano questi
            due dialoghi.
            Nel Timeo Crizia
            afferma chiaramente: “Posseggo io le carte contenenti gli abbozzi
            del poema che il nostro avo Solone aveva in mente di scrivere.”
            Dunque Solone,
            trisavolo sia di Crizia, sia di Platone, cui risale l’idea
            dell’esistenza di Atlantide, aveva in mente di scrivere un poema.
            Chi era Solone?
            Fu il primo legislatore di Atene, uomo colto e saggio; aveva scritto
            versi e molte massime come ad esempio “Io invecchio imparando
            sempre molte cose” (gheràsco
            d’aei pollà didaskòmenos). Ma soprattutto, aveva la spinta
            ereditata da Platone, di occuparsi, dello Stato, di giustizia che
            definiva “la capacità di ciascuno di fare quello che è suo
            dovere fare”. Aveva però molto viva, Solone, la passione per la
            poesia e aveva manifestato l’intenzione di scrivere un grande
            poema che celebrasse le antiche glorie di una Atene ipotetica, mai
            esistita, che aveva mostrato la sua superiorità in un altrettanto
            ipotetico conflitto antico contro i despoti di un’isola grande
            detta, appunto, Atlantide. Ma come avrebbe potuto Atene vincere quei
            despoti antichi (qualcuno fa addirittura risalire Atlantide al
            12.000 a.C.), se all’epoca ancora non esisteva, o quanto meno
            ancora non era uno Stato?
            Come aveva
            saputo Crizia di quell’abbozzo di poema?
            Solone aveva
            concepito il poema in occasione del suo viaggio in Egitto, come
            erano soliti fare i greci colti (ricordiamo Erodoto, Pitagora) per
            visitare i loro monumenti e ascoltare le loro storie antiche.
            Sappiamo tutti (e qui nasce l’idea di Atlantide) che Solone dal
            sacerdote Sais avesse appreso questo: “Voi Ateniesi siete dei
            ragazzi rispetto a noi Egiziani; tu però non sai qualcosa che fa la
            vostra gloria; siete stati voi Ateniesi molti secoli fa, a salvare
            non solo la vostra città, ma anche tutti noi qui, in Egitto e
            altrove, dalla invasione di un popolo forte ma violento; voi lo
            avete sconfitto; voi gli avete impedito di sottometterci tutti;
            dopo, gli dèi hanno completato l’opera con un bel terremoto e col
            maremoto, e tutta quella gente è sparita; voi invece ci siete
            ancora”. Da qui muovo i suoi passi Solone, mettendo insieme, come
            si fa alcune cose vere e altre di fantasia, con l’intenzione di
            dare maggiore risalto all’opera. Per questo si sofferma sulla
            descrizione della città ben fortificata e degli eserciti (ma non
            dimentichiamo che Atene non esisteva ancora come Stato organizzato).
            Sulla base di
            queste affermazioni, bozza di un poema, da secoli si cerca Atlantide
            e non solo si è trovata, ma se ne sono trovate molte. Ciò che è
            strano è perché nessuno ha mai cercato, e trovato, anche quella
            mitica antica Atene. C’è ancora un fatto da osservare: Solone
            aveva in mente di dimostrare l’importanza della Giustizia, della
            Legge, che erano alla base del successo duraturo di uno Stato. E con
            questo poema su Atlantide aveva trovato l’espediente migliore, e
            tipico per l’epoca, per sostenere le sue tesi: gi Atlantidei erano
            forti ma violenti; erano una grande civiltà, ma era degenerata;
            quindi gli dèi l’hanno punita. E in questo modo, tipicamente
            greco, i conti tornano.
            Forse, dunque,
            Atlantide, quella descritta da Platone, non è mai esistita, ma
            Platone ha fatto un grande favore all’archeologia: ha fatto sí
            che si ricercassero antiche civiltà scomparse, che forse quelle sí
            erano esistite.  Lo
            dimostrerebbe il fatto che le tante Atlantidi ritrovate, o che i
            ricercatori sono convinti di aver ritrovato, si trovano un po’
            ovunque, al di là e al di qua delle Colonne d’Ercole, a nord come
            a sud, nell’estremo oriente, come nell’estremo occidente. Siamo
            dunque grati a Platone che grazie a queste ricerche ha tenuto vivo
            l’interesse per l’antichità, per la paleo-geografia, per la
            paleo-geologia, e grazie a lui abbiamo goduto di due magnifiche
            giornate di studi. Complimenti a tutti i relatori e agli
            organizzatori.
             
            
              
              
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