"Atlantis.
            Indagine
            bibliografica dalle fonti di Platone fino agli scrittori moderni e le
            ipotetiche ricostruzioni cartografiche"
              a cura di
            Ernesto Paleani.. 
 
            
            TIMEO:
            Con quanta gioia, o Socrate, come se riposassi dopo un lungo
            cammino, mi libero ora volentieri del corso del ragionamento. (1)
            Quel dio, (2) nato
            un tempo nella realtà e ora nato da poco a parole, io prego che ci
            garantisca la conservazione, tra tutto ciò che è stato detto, di
            quelle cose che sono state dette con misura, e se, senza
            avvedercene, dicemmo qualcosa di stonato su di loro, di infliggere
            la giusta pena. Ma giusta punizione è rendere intonato colui che
            stona; affinché dunque in futuro facciamo discorsi corretti
            sull'origine degli dèi, preghiamo di fornirci la conoscenza,
            potentissimo ed efficacissimo tra i rimedi. Dopo aver così pregato,
            lasciamo, conformemente a quanto convenuto, il seguito del
            ragionamento a Crizia.
            CRIZIA: (3)
            Ebbene, Timeo, accetto; tuttavia la preghiera a cui anche tu
            all'inizio facesti ricorso, chiedendo comprensione giacché avresti
            parlato di grandi cose, ebbene, Questa stessa preghiera la formulo
            anch'io adesso, ma chiedo di ottenere una comprensione ancora
            maggiore per le cose che stanno per essere dette. Sebbene io sappia
            più o meno che la richiesta è molto ambiziosa e che sto per farla
            in modo più rozzo di come avrei dovuto, tuttavia devo farla. Del
            resto, quale uomo dotato di senno oserebbe affermare che le tue
            parole non sono state dette bene? D'altra parte il fatto che ciò
            che sarà detto ha bisogno di maggior comprensione in quanto più
            difficile, questo in qualche modo bisogna cercare di spiegarlo.
            Perché, caro Timeo, quando si dice qualcosa degli dèi agli uomini
            è più facile dare l'impressione di parlarne esaurientemente che
            non quando a noi si parla dei mortali. Infatti l'inesperienza e la
            totale ignoranza degli ascoltatori costituiscono un'ampia risorsa
            per chi intenda parlare di quelle cose sulle quali chi ascolta si
            trova in siffatta condizione: quanto agli dèi poi conosciamo la
            nostra situazione. Per chiarire maggiormente ciò che vado dicendo,
            seguitemi per questa via. Imitazione e rappresentazione bisogna che
            in qualche misura siano i discorsi pronunciati da tutti noi: (4)
            la riproduzione di immagini fatta dai pittori, atta a rappresentare
            i corpi divini e i corpi umani, consideriamola per la facilità e la
            difficoltà a sembrare, a coloro che la guardano, un'imitazione
            soddisfacente, e riconosceremo che terra e monti e fiumi e boschi,
            tutto il cielo e le cose che in esso sono e si muovono in un primo
            momento potrebbero soddisfarci, se uno è in grado di riprodurre
            anche in piccola parte qualcosa per somiglianza; ma poi, dal momento
            che di tali cose non sappiamo nulla di preciso, non esaminiamo né
            critichiamo le pitture, e ci serviamo di un chiaroscuro indistinto e
            ingannevole per questi stessi oggetti; invece quando uno tenta di
            rappresentare i nostri corpi, poiché percepiamo distintamente ciò
            che viene trascurato, per via della osservazione costante e
            familiare, diventiamo giudici terribili di chi non renda in maniera
            completa tutte le somiglianze. Questa stessa cosa bisogna notare che
            avviene anche per i discorsi, e cioè ci riteniamo soddisfatti se
            gli argomenti celesti e divini vengono esposti anche con una piccola
            parte di verosimiglianza, mentre le cose mortali e umane le
            sottoponiamo ad attento esame. Ebbene se, in ciò che stiamo dicendo
            ora improvvisando, non saremo capaci di rendere perfettamente quel
            che conviene, bisogna avere indulgenza: perché si deve pensare che
            le cose mortali non sono facili ma difficili da rappresentare
            rispetto all'aspettativa. Ho detto tutto questo, o Socrate, perché
            volevo ricordarvi questi fatti, e chiedere un'indulgenza non minore,
            bensì maggiore per le cose che stanno per essere dette. Se dunque
            sembra che a buon diritto io chieda tale dono, concedetemelo di buon
            grado.
            SOCRATE: Perché, o Crizia, indugiare a concedertelo? Anzi,
            questo stesso dono sia da parte nostra concesso anche al terzo, a
            Ermocrate.(5) è
            chiaro infatti che tra poco, quando dovrà a sua volta parlare, ne
            farà richiesta, come voi; e dunque per far sì che possa preparare
            un altro inizio e non sia costretto a pronunciarne uno uguale, parli
            convinto di avere, per quel momento, la nostra indulgenza. Tuttavia,
            caro Crizia, ti espongo preventivamente il pensiero dell'uditorio:
            il poeta che ti ha preceduto gode di una fama straordinaria presso
            questo uditorio, cosicché avrai bisogno di una buona dose di
            indulgenza, se è tua intenzione poterti procurare questi stessi
            riconoscimenti.
            ERMOCRATE: Ebbene, o Socrate, tu mi dai lo stesso
            avvertimento che dai a costui. Ed effettivamente uomini privi di
            coraggio non innalzarono mai un trofeo, o Crizia: bisogna dunque
            andare avanti coraggiosamente nel discorso, e, rivolta l'invocazione
            a Peone e alle Muse, (6)
            proclamare e celebrare le virtù degli antichi cittadini.
            CRIZIA: Caro Ermocrate, tu sei stato assegnato all'ultima
            fila (7) e hai un
            altro davanti a te, ed è per questo che sei ancora pieno di
            baldanza. Di che natura sia dunque questa impresa, presto sarà essa
            stessa a chiarirtelo: bisogna quindi prestare ascolto alle tue
            esortazioni e ai tuoi incoraggiamenti e oltre agli dèi che tu hai
            menzionato dobbiamo invocare anche gli altri e soprattutto Mnemosine.(8)
            Infatti quello che, per così dire, è l'aspetto più importante
            delle nostre parole dipende interamente da questa divinità: se
            abbiamo sufficiente memoria e avremo riferito più o meno ciò che
            sia stato detto dai sacerdoti e riportato qui da Solone,(9)
            io sono più o meno sicuro che a questo uditorio daremo
            l'impressione di aver svolto adeguatamente i nostri compiti. Questo
            dunque è ciò che bisogna fare e non indugiare oltre.  Per prima
            cosa ricordiamoci che in totale erano novemila anni  (10)
            
            da quando, come si racconta, scoppiò la guerra tra i popoli che
            abitavano al di là rispetto alle Colonne di Eracle e tutti quelli
            che abitano al di qua; e questa guerra bisogna ora descriverla
            compiutamente.(11)
            A capo degli uni dunque, si diceva, era questa città, che sostenne
            la guerra per tutto il tempo, gli altri invece erano sotto il
            comando dei  re dell'isola di Atlantide, la quale, come dicemmo,(12)
            
            era a quel tempo più grande della Libia e dell'Asia, mentre adesso,
            sommersa da terremoti, è una melma insormontabile  (13)
            
            che impedisce il passo a coloro che navigano da qui per raggiungere
            il mare aperto, per cui il viaggio non va oltre.  Quanto ai numerosi
            popoli barbari e a tutte le stirpi greche che esistevano allora, per
            ciascuna lo sviluppo del discorso nel suo svolgersi mostrerà ciò
            che accadde; quanto invece alla stirpe degli Ateniesi di allora e
            degli avversari contro i quali guerreggiarono, è necessario
            innanzi tutto esporre da principio la potenza di ciascuno e le loro
            costituzioni. E tra questi stessi popoli dobbiamo dare la priorità,
            nel racconto, a quelli che abitarono qui. Gli dèi infatti un tempo
            si divisero a sorte tutta quanta la terra secondo i luoghi - non per
            contesa:(14)
            sarebbe difatti un ragionamento non giusto pensare che gli dèi
            ignorino ciò che conviene a ciascuno di loro e che poi, conoscendo
            ciò che conviene meglio ad altri, avessero cercato di procurarselo
            per se stessi a forza di contese - ottenendo dunque con sorteggi di
            giustizia ciò che era loro gradito, prendevano dimora in quelle
            regioni e, dopo esservisi stabiliti, come i pastori le greggi, ci
            allevavano beni propri e proprie creature, senza usare violenza sul
            corpo con la forza fisica, come i pastori che conducono al pascolo
            le bestie sotto i colpi della sferza, (15)
            ma nel modo in cui, in particolare, si tratta un animale docile,
            guidando da poppa, attaccandosi all'anima con la persuasione come un
            timone, secondo il loro disegno: in questo modo guidavano e
            governavano tutto il genere umano. Gli dèi, avendo dunque ottenuto
            in sorte chi questi luoghi chi altri, li amministravano. Efesto e
            Atena,(16) che
            hanno una natura comune, sia in quanto fratello e sorella nati dallo
            stesso padre sia in quanto pervenuti al medesimo fine per il loro
            amore della sapienza e dell'arte, così ricevettero entrambi un
            unico lotto, questa regione, come congeniale e naturalmente adatta
            per la virtù e il pensiero, e avendovi fatto nascere come autoctoni
            (17) uomini
            virtuosi, stabilirono nella loro mente l'ordinamento politico; i
            loro nomi sono conservati, ma le loro opere a causa delle
            distruzioni dei successori e per la lunghezza del tempo trascorso,
            sono svanite. Infatti la stirpe che sempre sopravviveva, come si è
            detto precedentemente, (18) rimaneva montanara e illetterata, e conosceva solo per sentito
            dire i nomi dei signori di quella regione e, oltre a questi, poche
            delle loro opere. Essi dunque, si accontentavano di assegnare questi
            nomi ai figli, ma ignoravano le virtù e le leggi dei predecessori,
            tranne alcune oscure informazioni su ognuno di loro e trovandosi,
            essi e i loro figli per molte generazioni, sprovvisti dei beni di
            necessità, rivolgendo la mente a ciò di cui mancavano, e a questo
            dedicando inoltre i loro discorsi, non si curavano dei fatti
            avvenuti nei tempi precedenti e anticamente. Il racconto e la
            ricerca degli avvenimenti antichi infatti entrano nelle città
            insieme con il tempo libero, quando si comincia a vedere qualcuno già
            rifornito dei beni necessari per vivere, prima no. Così i nomi
            degli antichi si sono conservati, senza il ricordo delle loro opere.
            Dico questo basandomi sul fatto che tra le moltissime imprese che
            appunto si ricordano associate ai nomi di ciascuno, di Cecrope,
            Eretteo, Erittonio, Erisittone (19)
            e degli altri eroi anteriori a Teseo,(20)
            tra queste imprese Solone dice che i sacerdoti, menzionando per lo
            più i nomi di quei personaggi, raccontarono la guerra che si
            combatté a quel tempo, e allo stesso modo per i nomi delle donne.
            Quanto poi all'immagine e alla statua della dea, dal momento che a
            quel tempo le occupazioni militari erano comuni sia alle donne sia
            agli uomini, così, conformemente a quella consuetudine, essi
            avevano una statua votiva della dea armata, prova che tutti gli
            esseri viventi che vivono associati, femmine e maschi, sono per
            natura capaci di esercitare in comune la virtù che compete a
            ciascun sesso.(21)
            A quel tempo dunque abitavano in questa regione le altre classi di
            cittadini impegnate nei mestieri e a trarre nutrimento dalla terra,
            mentre la classe dei guerrieri, fin dal principio distinta per
            volere di uomini divini, viveva separatamente, provvista di tutto ciò
            che fosse necessario per il sostentamento e per l'educazione;
            nessuno di loro possedeva nulla di proprio, ma consideravano tutto
            in comune, e non ritenevano giusto accettare nulla dagli altri
            cittadini che fosse più del nutrimento sufficiente ed esercitavano
            tutte le attività descritte ieri, che sono state menzionate a
            proposito dei guardiani che abbiamo ipotizzato.(22)
            Inoltre la storia che veniva riportata sulla nostra regione era
            credibile e vera: per prima cosa, per quel che concerne i confini a
            quel tempo arrivavano fino all'Istmo (23)
            e, nella parte lungo il resto del continente, fino alle cime del
            Citerone (24) e del Parnete, (25)
            scendevano poi avendo a destra l'Oropia (26)
            e a sinistra fino al mare escludendo l'Asopo: (27)
            questa nostra regione superava per fertilità tutte le altre, per
            cui a quel tempo poteva anche nutrire un grande esercito inoperoso
            nei lavori dei campi. Una valida prova del suo valore: ciò che ora
            resta di essa sostiene il confronto con qualunque terra, perché
            produce di tutto, molti frutti e abbondanti pascoli per tutti gli
            animali. A quel tempo invece, oltre alla fine qualità di quei
            frutti, ne produceva anche in grande abbondanza. Come è possibile
            dunque questo e sulla base di quale residuo attuale della terra di
            allora può esser detto a ragione? Essa, staccata interamente dal
            resto del continente, giace allungandosi fino al mare come la punta
            di un promontorio; il bacino di mare che la comprende sprofonda
            rapidamente da ogni parte. Essendoci dunque stati molti e terribili
            cataclismi in questi novemila anni - perché tanti sono gli anni che
            intercorrono da quel tempo fino a oggi - la parte di terra che in
            questi anni e in tanti accidenti si è staccata dalle alture non
            accumulava sedimenti di terra di una certa consistenza, come in
            altri luoghi e, scivolando giù in un processo continuo
            tutt'intorno, scompariva nella profondità del mare; dunque, come
            avviene nelle piccole isole, a confronto con ciò che c'era a quel
            tempo, le parti che oggi restano sono come ossa di un corpo che è
            stato colpito da una malattia, perché la terra intorno, ciò che di
            essa era grasso e molle, è scivolata via, ed è rimasto soltanto,
            della regione, l'esile corpo. A quel tempo invece, quando era
            integra, aveva per monti colline e levate e ricche di terra grassa,
            le pianure oggi dette di Felleo, (28)
            e sui monti aveva vasti boschi, dei quali sussistono testimonianze
            visibili ancora oggi. E di quei monti ve ne sono alcuni che
            attualmente forniscono nutrimento soltanto alle api, ma non è poi
            moltissimo tempo che, ricavati dagli alberi tagliati via da qui per
            fare da riparo in costruzioni imponenti, si conservavano ancora i
            tetti. Vi crescevano, numerosi, alti alberi coltivati, ma fornivano
            anche pascoli inesauribili per il bestiame. Inoltre ogni anno godeva
            dell'acqua che veniva da Zeus, e non la perdeva, come avviene ai
            nostri giorni, quando scompare defluendo via dalla terra spoglia
            fino al mare; poiché ne aveva in abbondanza la accoglieva nel suo
            seno, la teneva in serbo nella terra argillosa e impermeabile,
            lasciando poi cadere l'acqua dall'alto dalle alture fino alle cavità,
            offriva dappertutto abbondante flusso di sorgenti e di fiumi, e i
            santuari che ancora oggi rimangono presso le sorgenti che esistevano
            un tempo sono una testimonianza del fatto che i racconti odierni su
            di essa corrispondono a verità.  Queste dunque le condizioni
            naturali del resto del paese. E, come conviene, era tenuta in
            bell'ordine, da veri agricoltori, che facevano proprio questo
            mestiere, amanti del bello e dotati di buone qualità, disponevano
            di terra eccellente, acqua in notevole abbondanza e, su quella
            terra, godevano di stagioni decisamente temperate. Ed ecco come era
            abitata a quel tempo la città. Innanzi tutto la parte dell'acropoli
            non era allora come è oggi. Ci fu infatti una sola notte di
            pioggia, in cui piovve più di quanto la terra potesse sopportare,
            che l'ha liquefatta tutt'intorno e resa oggi terribilmente spoglia,
            e nello stesso tempo vi furono terremoti e una straordinaria
            alluvione, la terza prima della catastrofe di Deucalione; (29)
            ma precedentemente, in un altro tempo, per grandezza si estendeva
            fino all'Eridano e all'Ilisso, (30)
            abbracciava al suo interno la Pnice (31)
            e comprendeva, dalla parte opposta rispetto alla Pnice, il monte
            Licabetto,(32) ed
            era tutta di terra e, salvo che in un piccolo tratto sulla sommità,
            pianeggiante. Le zone periferiche, sotto i fianchi stessi
            dell'Acropoli, erano abitate dagli artigiani e dagli agricoltori che
            lavoravano la terra circostante; la zona superiore la abitava,
            intorno al santuario di Atena e di Efesto, la sola classe dei
            guerrieri, i quali l'avevano circondata da un muro come il giardino
            di un'unica dimora. Abitavano i fianchi di questa rivolti a
            settentrione, in dimore comuni. Vi avevano allestito mense per i
            mesi invernali; tutto ciò che si addiceva alla vita in comune, per
            le loro costruzioni e per i santuari, essi lo possedevano, fatta
            eccezione per l'oro e l'argento - di questi metalli infatti non
            facevano assolutamente uso, e perseguivano piuttosto una via di
            mezzo tra sfarzo arrogante e illiberale spilorceria, abitando case
            dignitose, nelle quali essi stessi e i figli dei loro figli
            invecchiavano e che lasciavano via via in eredità ad altri uguali a
            loro (33)-, i
            fianchi esposti a sud invece, quando abbandonavano giardini, ginnasi
            e mense, ad esempio durante la stagione estiva, li utilizzavano per
            questi scopi. C'era una sola fonte, nel luogo dove oggi è
            l'acropoli, della quale, inaridita a causa dei terremoti, restano
            attualmente piccoli rivoli tutt'intorno, e che invece agli uomini di
            quel tempo forniva, a tutti, un flusso abbondante, ed era temperata
            sia in inverno sia in estate. Questo dunque il modo in cui abitavano
            la città, fungendo da custodi dei loro propri concittadini e
            d'altra parte da capi, liberamente accolti, degli altri Greci,
            sempre però vegliando che al loro interno fosse quanto più
            possibile lo stesso in tutti i tempi il numero degli uomini e delle
            donne, di quelli già in grado di combattere e di quelli che lo
            fossero ancora, circa ventimila al massimo.(34)
            Tali dunque essendo questi uomini e in tal modo sempre amministrando
            secondo giustizia la propria città e la Grecia, erano stimati in
            tutta l'Europa e in tutta l'Asia per la bellezza del corpo e per
            ogni tipo dì virtù dell'animo, ed erano fra tutti gli uomini del
            loro tempo i più famosi. Quanto poi ai loro avversari, quali
            fossero le loro condizioni e come andassero le cose in origine, se
            in noi non è spento il ricordo di ciò che udimmo quando eravamo
            ancora bambini, ve lo spiegheremo: e ciò che sappiamo sia in comune
            (35) con gli amici.
            è d'uopo tuttavia, prima di iniziare il discorso, fornire ancora
            una breve chiarificazione, perché non vi sorprendiate di sentire
            pronunciare nomi greci per uomini barbari: ne apprenderete la causa.
            Solone, poiché aveva in mente di usare questo racconto per la sua
            poesia, cercando informazioni sul senso di questi nomi, trovò che
            quegli Egiziani che per primi avevano scritto questi nomi, li
            avevano tradotti nella propria lingua, e di nuovo egli, a sua volta,
            recuperando il significato di ciascun nome, li trascrisse
            trasferendoli nella nostra lingua. E questi scritti appunto si
            trovavano in possesso di mio nonno, attualmente sono ancora in mio
            possesso, e me ne sono molto occupato quando ero un ragazzo.(36)
            Se dunque udrete tali nomi, simili a questi nostri, non vi sembri
            strano: ne conoscete la ragione. Ed ecco dunque qual era press'a
            poco l'inizio di questo lungo racconto. Come si è detto prima,(37)
            a proposito del sorteggio degli dèi, che si spartirono tutta la
            terra, in lotti dove più grandi dove più piccoli, e istituirono in
            proprio onore offerte e sacrifici, così anche Poseidone, che aveva
            ricevuto in sorte l'isola di Atlantide, stabilì i propri figli,
            generati da una donna mortale, in un certo luogo dell'isola. Vicino
            al mare, ma nella parte centrale dell'intera isola, c'era una
            pianura, che si dice fosse di tutte la più bella e garanzia di
            prosperità, vicino poi alla pianura, ma al centro di essa, a una
            distanza di circa cinquanta stadi,(38)
            c'era un monte, di modeste dimensioni da ogni lato. Questo monte era
            abitato da uno degli uomini nati qui in origine dalla terra, il cui
            nome era Euenore e che abitava lì insieme a una donna, Leucippe.
            Generarono un'unica figlia, Clito. La fanciulla era ormai in età da
            marito, quando la madre e il padre morirono. Poseidone, avendo
            concepito il desiderio di lei, sì unì con la fanciulla e rese ben
            fortificata la collina nella quale viveva, la fece scoscesa
            tutt'intorno, formando cinte di mare e di terra, alternativamente,
            più piccole e più grandi, l'una intorno all'altra, due di terra,
            tre di mare, come se lavorasse al tornio, a partire dal centro
            dell'isola, dovunque a uguale distanza, in modo che l'isola fosse
            inaccessibile agli uomini: a quel tempo infatti non esistevano né
            imbarcazioni né navigazione. Egli stesso poi abbellì facilmente,
            come può un dio, l'isola nella sua parte centrale, facendo
            scaturire dalla terra due sorgenti di acqua, una che sgorgava calda
            dalla fonte, l'altra fredda; fece poi produrre dalla terra
            nutrimento d'ogni sorta e in abbondanza. Generò cinque coppie di
            figli maschi,(39)
            li allevò e dopo aver diviso in dieci parti tutta l'isola di
            Atlantide, al figlio nato per primo dei due più vecchi assegnò la
            dimora della madre e il lotto circostante, che era il più esteso e
            il migliore, e lo fece re degli altri, gli altri li fece capi e a
            ciascuno diede potere su un gran numero di uomini e su un vasto
            territorio. Diede a tutti dei nomi, a colui che era il più anziano
            e re assegnò questo nome, che è poi quello che ha tutta l'isola e
            il mare, chiamato Atlantico perché il nome di colui che per primo
            regnò allora era appunto Atlante;(40)
            il fratello gemello nato dopo di lui, che aveva ricevuto in sorte
            l'estremità dell'isola verso le Colonne di Eracle, di fronte alla
            regione oggi chiamata Gadirica dal nome di quella località, in
            greco era Eumelo, mentre nella lingua del luogo Gadiro, il nome che
            avrebbe appunto fornito la denominazione a questa regione. Ai due
            figli che nacquero nel secondo parto Poseidone diede, al primo, il
            nome Amfere e al secondo il nome Euemone; ai figli di terza nascita
            diede nome Mnesea, a quello nato per primo, Autoctone a quello nato
            dopo; dei figli di quarta nascita Elasippo fu il primo e Mestore il
            secondo; ai figli di quinta nascita fu dato il nome di Azae al
            primo, di Diaprepe al secondo. Tutti costoro, essi stessi e i loro
            discendenti, per molte generazioni abitarono qui, esercitando il
            comando su molte altre isole di quel mare, ed inoltre, come si disse
            anche prima,  governando regioni al di qua, fino all'Egitto e
            alla Tirrenia. La stirpe di Atlante dunque fu numerosa e onorata, e
            poiché era sempre il re più vecchio a trasmettere al più vecchio
            dei suoi figli il potere, preservarono il regno per molte
            generazioni, acquistando ricchezze in quantità tale quante mai ve
            n'erano state prima in nessun dominio di re, né mai facilmente ve
            ne saranno in avvenire, e d'altra parte potendo disporre di tutto ciò
            di cui fosse necessario disporre nella città e nel resto del paese.
            Infatti molte risorse, grazie al loro predominio, provenivano loro
            dall'esterno, ma la maggior parte le offriva l'isola stessa per le
            necessità della vita: in primo luogo tutti i metalli, allo stato
            solido o fuso, che vengono estratti dalle miniere, sia quello del
            quale oggi si conosce solo il nome - a quel tempo invece la sostanza
            era più di un nome, l'oricalco, (41)
            estratto dalla terra in molti luoghi dell'isola, ed era il più
            prezioso, a parte l'oro, tra i metalli che esistevano allora - sia
            tutto ciò che le foreste offrono per i lavori dei carpentieri:
            tutto produceva in abbondanza, e nutriva poi a sufficienza animali
            domestici e selvaggi. In particolare era qui ben rappresentata la
            specie degli elefanti. Difatti i pascoli per gli altri animali, per
            quelli che vivono nelle paludi, nei laghi e nei fiumi e così per
            quelli che pascolano sui monti e nelle pianure, erano per tutti
            abbondanti e altrettanto lo erano per questo animale, nonostante sia
            il più grosso e il più vorace. A ciò si aggiunga che le essenze
            profumate che la terra produce ai nostri giorni, di radici, di
            germoglio, di legni, di succhi trasudanti da fiori o da frutti, le
            produceva tutte e le faceva crescere bene; e ancora, forniva il
            frutto coltivato e quello secco (42)
            che ci fa da nutrimento e quei frutti dei quali ci serviamo per fare
            il pane - tutte quante le specie di questo prodotto le chiamiamo
            cereali - e il frutto legnoso che offre bevande, alimenti e oli
            profumati, il frutto dalla dura scorza, usato per divertimento e per
            piacere, difficile da conservare, (43)
            così quelli che serviamo dopo la cena come rimedi graditi a chi è
            affaticato dalla sazietà:(44)
            tali prodotti l'isola sacra che esisteva allora sotto il sole,
            offriva, belli e meravigliosi, in una abbondanza senza fine.
            Prendendo dunque dalla terra tutte queste ricchezze, costruivano i
            templi, le dimore regali, i porti, i cantieri navali e il resto
            della regione, ordinando ogni cosa nel seguente modo. Le cinte di
            mare che si trovavano intorno all'antica metropoli per prima cosa le
            resero praticabili per mezzo di ponti, formando una via all'esterno
            e verso il palazzo reale. Il palazzo reale lo realizzarono fin da
            principio in questa stessa residenza del dio e degli antenati,
            ricevendolo in eredità l'uno dall'altro, e aggiungendo ornamenti a
            ornamenti cercavano sempre di superare, per quanto potevano, il
            predecessore, finché realizzarono una dimora straordinaria a
            vedersi per la grandiosità e la bellezza dei lavori. Realizzarono,
            partendo dal mare, un canale di collegamento largo tre plettri,(45)
            profondo cento piedi (46)
            e lungo cinquanta stadi fino alla cinta di mare più esterna:
            crearono così il passaggio dal mare fino a quella cinta, come in un
            porto, dopo aver formato un'imboccatura sufficiente per l'ingresso
            delle navi di maggiori dimensioni. Inoltre tagliarono le cinte di
            terra che dividevano tra loro le cinte di mare all'altezza dei
            ponti, tanto da poter passare, a bordo di una sola trireme, da una
            cinta all'altra, e coprirono i passaggi con tetti, in modo tale che
            la navigazione avvenisse al di sotto: e infatti le sponde delle
            cinte di terra si elevavano sufficientemente sul livello del mare.
            La cinta maggiore, con la quale era in comunicazione il mare, era di
            tre stadi di larghezza e di pari larghezza era la cinta di terra a
            ridosso; delle due cinte successive quella di mare era larga due
            stadi, quella di terra aveva ancora una volta una larghezza pari
            alla cinta di mare; di uno stadio era invece la cinta di mare che
            correva intorno all'isola stessa, nel mezzo. L'isola, nella quale si
            trovava la dimora dei re, aveva un diametro di cinque stadi. Questa,
            tutt'intorno, e le cinte, e il ponte, largo un plettro, li
            circondarono da una parte e dall'altra con un muro di pietra,
            facendo sovrastare il ponte, da entrambe le parti, da torri e porte,
            lungo i passaggi che portavano al mare; tagliarono la pietra
            tutt'intorno, al di sotto dell'isola centrale, e sotto le cinte,
            nella parte esterna e in quella interna, bianca, nera, rossa,(47)
            e mentre tagliavano creavano all'interno due profondi arsenali la
            cui copertura era di quella stessa pietra. Quanto alle costruzioni,
            alcune erano semplici, mentre altre le realizzavano variopinte,
            mescolando, per il piacere della vista, le pietre: e così rendevano
            loro una grazia naturale; rivestirono tutto il perimetro del muro
            che correva lungo la cinta esterna con il bronzo, servendosene a
            guisa di intonaco, mentre quello della cinta interna lo spalmarono
            con stagno fuso, e infine quello che circondava la stessa acropoli
            con oricalco dai riflessi di fuoco. Il palazzo reale, all'interno
            dell'acropoli, era sistemato nel seguente modo. Al centro il
            santuario, consacrato in quello stesso luogo a Clito e a Poseidone,
            era lasciato inaccessibile, circondato da un muro d'oro, e fu là
            che in origine concepirono e misero al mondo la stirpe dei dieci
            capi delle dinastie reali; ed era ancora là che ogni anno venivano,
            da tutte e dieci le sedi del paese, le offerte stagionali per ognuno
            di quelle divinità. Il tempio dello stesso Poseidone era lungo uno
            stadio, largo tre plettri, proporzionato in altezza a queste
            dimensioni, e aveva nella figura un che di barbarico. Rivestirono
            d'argento tutta la parte esterna del tempio, ad eccezione degli
            acroterii, e gli acroterii erano d'oro; quanto agli interni, il
            soffitto era a vedersi interamente d'avorio, variegato d'oro,
            argento e oricalco; tutte le altre parti, pareti, colonne e
            pavimento, le rivestirono di oricalco. Vi collocarono statue d'oro,
            il dio in piedi su un carro, auriga di sei cavalli alati, egli
            stesso tanto grande da toccare con la testa il soffitto del tempio,
            tutt'intorno cento Nereidi (48)
            su delfini - perché tante pensavano allora che fossero le Nereidi -
            e vi erano molte altre statue, doni votivi di privati. Intorno al
            santuario, all'esterno, si trovavano immagini d'oro di tutti, le
            donne e quei re che nacquero dai dieci, e molte altre offerte votive
            di grandi dimensioni, di re e privati, originari della città stessa
            e di altri paesi esterni, quelli sui quali governavano. L'altare,
            per la grandezza e la raffinatezza del lavoro, era in armonia con
            questo apparato, e la reggia, allo stesso modo, ben rispondeva da
            una parte alla grandezza dell'impero, dall'altra allo splendore del
            tempio stesso. Quanto alle fonti, quella della sorgente di acqua
            fredda e quella della sorgente di acqua calda, di generosa
            abbondanza, ognuna straordinariamente adatta all'uso per la
            gradevolezza e la virtù delle acque, le utilizzavano disponendo
            intorno abitazioni e piantagioni di alberi adatte a quelle acque e
            installandovi intorno cisterne, alcune a cielo  aperto, altre
            coperte usate in inverno per i bagni caldi, da una parte quelle del
            re, dall'altra quelle dei privati, altre ancora per le donne, altre
            per i cavalli e per le altre bestie da soma, attribuendo a ciascuna
            la decorazione appropriata. L'acqua che sgorgava da qui la portavano
            fino al bosco sacro di Poseidone, alberi d'ogni sorta, che avevano,
            grazie alla virtù della terra, bellezza ed altezza straordinarie, e
            facevano scorrere l'acqua fino ai cerchi esterni attraverso
            canalizzazioni costruite lungo i ponti. E qui erano stati costruiti
            molti templi, in onore di molte divinità, molti giardini e molti
            ginnasi, alcuni per gli uomini, altri per i cavalli, a parte, in
            ognuna delle due isole circolari. Inoltre, al centro dell'isola
            maggiore, per sé si erano riservati un ippodromo, largo uno stadio
            e tanto lungo da permettere ai cavalli di percorrere per la gara
            l'intera circonferenza. Intorno a questo, dall'una e dall'altra
            parte, vi erano costruzioni per le guardie, per la gran massa dei
            dorifori;(49) ai più
            fedeli era stato assegnato il presidio nella cerchia minore, che si
            trovava più vicino all'acropoli, mentre a coloro che fra tutti si
            distinguevano per fedeltà erano stati dati alloggi all'interno
            dell'acropoli, vicino ai re. Gli arsenali erano pieni di triremi e
            delle suppellettili necessari alle triremi, tutte preparate in
            quantità sufficiente. E nel modo seguente erano poi sistemate le
            cose intorno alla residenza dei re: per chi attraversava i porti
            esterni, in numero di tre, a partire dal mare correva in cerchio un
            muro, distante cinquanta stadi in ogni parte dalla cinta maggiore e
            dal porto. Tale muro si chiudeva in se stesso in uno stesso punto,
            presso l'imboccatura del canale dalla parte del mare. Tutta questa
            estensione era coperta di numerose e fitte abitazioni, mentre il
            canale e il porto maggiore pullulavano di imbarcazioni e di mercanti
            che giungevano da ogni parte e che, per il gran numero, riversavano
            giorno e notte voci e tumulto e fragore d'ogni genere. Abbiamo
            dunque riferito ora press'a poco quanto a quel tempo si disse della
            città e dell'antica dimora; cerchiamo allora di richiamare alla
            mente quale fosse la natura del resto del paese e come fosse
            organizzato. In primo luogo tutto quanto il territorio si diceva che
            fosse alto e a picco sul mare, mentre tutt'intorno alla città vi
            era una pianura, che abbracciava la città ed era essa stessa
            circondata da monti che discendevano fino al mare, piana e uniforme,
            tutta allungata, lunga tremila stadi sui due lati e al centro
            duemila stadi dal mare fin giù. Questa parte dell'intera isola era
            rivolta a mezzogiorno e al riparo dai venti del nord. I monti che la
            circondavano erano rinomati a quel tempo, in numero, grandezza e
            bellezza superiori ai monti che esistono oggi, per i molti villaggi
            ricchi di abitanti che vi si trovano e d'altra parte per i fiumi, i
            laghi, i prati, capaci di nutrire ogni sorta di animali domestici e
            selvaggi, per le foreste numerose e varie, inesauribili per
            l'insieme dei lavori e per ciascuno in particolare. Questa pianura
            in un lungo lasso di tempo, per opera della natura e di molti re,
            prese dunque la seguente sistemazione. Aveva, come ho già detto, la
            forma di un quadrilatero, rettilineo per la maggior parte, e
            allungato, ma là dove si discostava dalla linea retta lo
            raddrizzarono per mezzo di un fossato scavato tutt'intorno: ciò che
            si dice della profondità, larghezza e lunghezza di questo fossato
            non è credibile, che cioè opera realizzata dalla mano dell'uomo
            potesse essere di tali dimensioni, oltre agli altri duri lavori che
            aveva comportato. Bisogna tuttavia riferire ciò che udimmo: ebbene,
            era stata scavata per una profondità di un plettro, mentre la sua
            larghezza era in ogni punto di uno stadio, e poiché era stata
            scavata tutto intorno alla pianura, ne risultava una lunghezza di
            diecimila stadi. Riceveva i corsi d'acqua che discendevano dai monti
            e girava intorno alla pianura, arrivando da entrambi i lati fino
            alla città, da lì poi andava a gettarsi nel mare. Dalla parte
            superiore di questo fossato canali rettilinei, larghi circa cento
            piedi, tagliati attraverso la pianura, tornavano a gettarsi nel
            fossato presso il mare, a una distanza l'uno dall'altro di cento
            stadi. Ed era per questa via dunque che facevano scendere fino alla
            città il legname dalle montagne e su imbarcazioni trasportavano
            verso la costa altri prodotti di stagione, scavando, a partire da
            questi canali passaggi navigabili e tagliandoli trasversalmente
            l'uno con l'altro e rispetto alla città. Due volte l'anno
            raccoglievano i prodotti della terra, in inverno utilizzando le
            piogge, in estate irrigando tutto ciò che offre la terra con
            l'acqua attinta dai canali. Quanto al numero degli uomini abitanti
            la pianura che fossero utili per la guerra, era stato stabilito che
            ogni lotto fornisse un capo: la grandezza di un lotto era di dieci
            stadi per dieci e in tutto i lotti erano sessantamila; per quel che
            concerne invece il numero degli uomini che venivano dalle montagne e
            dal resto del paese, si diceva che fosse infinito e tutti, secondo
            le località e i villaggi, venivano poi ripartiti in questi
            distretti, sotto il comando dei loro capi. Era dunque stabilito che
            il comandante fornisse per la guerra la sesta parte di un carro da
            combattimento fino a raggiungere il numero di diecimila carri, due
            cavalli e i relativi cavalieri, inoltre un carro a due cavalli senza
            sedile, che avesse un soldato capace all'occasione di combattere a
            piedi, munito di un piccolo scudo, e assieme al combattente un
            auriga per entrambi i cavalli; due opliti, due arcieri e due
            frombolieri, tre soldati armati alla leggera che lanciano pietre e
            tre lanciatori di giavellotto, quattro marinai per completare
            l'equipaggio di milleduecento navi. Questa era dunque
            l'organizzazione militare della città regia; diversa invece quella
            in ognuna delle altre nove province, che tuttavia sarebbe troppo
            lungo spiegare. Quanto alle magistrature e alle cariche pubbliche,
            furono così ordinate fin da principio. Ciascuno dei dieci re
            esercitava il comando nella propria parte e nella sua città sugli
            uomini e sulla maggior parte delle leggi, punendo e mettendo a morte
            chiunque volesse; ma il potere che avevano l'uno sull'altro e i
            rapporti reciproci erano regolati dalle prescrizioni di Poseidone,
            così come li avevano tramandati la tradizione e le lettere incise
            dai primi re su una stele di oricalco, che era posta nel centro
            dell'isola, nel santuario di Poseidone, dove ogni cinque anni e
            talvolta, alternando, ogni sei si riunivano, assegnando uguale
            importanza all'anno pari e all'anno dispari. In tali adunanze
            deliberavano degli affari comuni, esaminavano se qualcuno avesse
            trasgredito qualche legge e formulavano il giudizio. Quando dovevano
            giudicare, prima si scambiavano tra loro assicurazioni secondo il
            seguente rituale. Alcuni tori (50)
            venivano lasciati liberi nel santuario di Poseidone, e i dieci re,
            rimasti soli, dopo aver rivolto al dio la preghiera di scegliere la
            vittima che gli fosse gradita, davano inizio alla caccia, armati non
            di armi di ferro, ma solo di bastoni e di lacci; il toro che
            riuscivano a catturare, lo conducevano davanti alla colonna e lì,
            sulla cima di questa, lo sgozzavano proprio sopra l'iscrizione. 
            Sulla stele, oltre alle leggi, v'era inciso un giuramento che
            lanciava terribili anatemi contro i trasgressori. Così, compiuti i
            sacrifici conformemente alle loro leggi, quando passavano a
            consacrare tutte le parti del toro, mescolavano in un cratere il
            sangue e ne versavano un grumo per ciascuno, mentre il resto,
            purificata la stele, lo ponevano accanto al fuoco; dopodiché,
            attingendo con coppe d'oro dal cratere e offrendo libagioni sul
            fuoco, giuravano di giudicare conformemente alle leggi scritte sulla
            stele, di punire chi in precedenza tali leggi avesse trasgredito e,
            d'altra parte, di non trasgredire per precisa volontà in avvenire
            nessuna delle norme dell'iscrizione, che non avrebbero governato né
            obbedito a chi governasse se non esercitava il suo comando secondo
            le leggi del padre. Ciascuno di loro, dopo aver innalzato queste
            preghiere, per sé e per la propria discendenza, beveva e consacrava
            la coppa nel santuario del dio, poi attendeva al pranzo e alle
            occupazioni necessarie, e quando scendevano le tenebre e il fuoco
            dei sacrifici si era consumato, indossavano tutti una veste azzurra,
            bella quant'altre mai, sedendo in terra, accanto alle ceneri dei
            sacrifici per il giuramento. Di notte, quando ormai il fuoco intorno
            al tempio era completamente spento, venivano giudicati e giudicavano
            se uno di loro avesse accusato un altro di violare qualche legge;
            dopo aver formulato il giudizio, all'apparire del giorno, incidevano
            la sentenza su una tavola d'oro che dedicavano in ricordo insieme
            alle vesti. Vi erano altre leggi, numerose e particolari, che
            concernevano i privilegi di ciascun re, tra le quali le più
            importanti: che non avrebbero mai impugnato le armi l'uno contro
            l'altro e che si sarebbero aiutati vicendevolmente, e se uno di loro
            in qualche città tentava di cacciare la stirpe regia, avrebbero
            deliberato in comune, come i loro antenati, le decisioni che
            giudicassero opportuno prendere riguardo alla guerra e alle altre
            faccende, affidando il comando supremo alla stirpe di Atlante. Un re
            non era padrone di condannare a morte nessuno dei consanguinei senza
            il consenso di più della metà dei dieci. Tanta e tale potenza,
            viva allora in quei luoghi, il dio raccolse e diresse poi contro
            queste nostre regioni, dietro siffatto pretesto, come vuole la
            tradizione. Per molte generazioni, finché fu abbastanza forte in
            loro la natura divina, erano obbedienti alle leggi e bendisposti
            nell'animo verso la divinità che aveva con loro comunanza di
            stirpe: avevano infatti pensieri veri e grandi in tutto, usando
            mitezza mista a saggezza negli eventi che di volta in volta si
            presentavano e nei rapporti reciproci. Di conseguenza, avendo tutto
            a disdegno fuorché la virtù, Stimavano poca cosa i beni che
            avevano a disposizione, sopportavano con serenità, quasi fosse un
            peso, la massa di oro e delle altre ricchezze, e non vacillavano,
            ebbri per effetto del lusso e senza più padronanza di sé per via
            della ricchezza; al contrario, rimanendo vigili, vedevano con
            acutezza che tutti questi beni si accrescono con l'affetto reciproco
            unito alla virtù, mentre si logorano per eccessivo zelo e stima e
            con loro perisce anche la virtù. Ebbene, come risultato di un tale
            ragionamento e finché persisteva in loro la natura divina, tutti i
            beni che abbiamo precedentemente enumerato si accrebbero. Quando però
            la parte di divino venne estinguendosi in loro, mescolata più volte
            con un forte elemento di mortalità e il carattere umano ebbe il
            sopravvento, allora, ormai incapaci di sostenere adeguatamente il
            carico del benessere di cui disponevano, si diedero a comportamenti
            sconvenienti, e a chi era capace di vedere apparivano laidi, perché
            avevano perduto i più belli tra i beni più preziosi, mentre agli
            occhi di coloro che non avevano la capacità di discernere la vera
            vita che porta alla felicità allora soprattutto apparivano
            bellissimi e beati, pieni di ingiusta bramosia e di potenza.
            Tuttavia il dio degli dèi, Zeus, che governa secondo le leggi,
            poiché poteva vedere simili cose, avendo compreso che questa stirpe
            giusta stava degenerando verso uno stato miserevole, volendo
            punirli, affinché, ricondotti alla ragione, divenissero più
            moderati, convocò tutti gli dèi nella loro più augusta dimora, la
            quale, al centro dell'intero universo, vede tutte le cose che
            partecipano del divenire, e dopo averli convocati disse...
            
            
            NOTE:
            1) Il riferimento è alla conclusione del Timeo
            (92c), alla quale il presente dialogo direttamente si ricollega.
            2) è il "dio sensibile" del Timeo (27c e
            92c).
            3) Cfr. la Premessa al Timeo.
            4) La teoria qui esposta sulla natura imitativa
            dell'arte compare nel libro 10 della Repubblica e nel Sofista.
            5) Si tratta probabilmente del generale siracusano
            ammirato da Tucidide (libro 4, 58; libro 6, 32; 72; 76; libro 7,
            73). Figura centrale nel congresso dei Sicelioti a Gela nel 424 a.C.,
            Ermocrate difese la sua città dagli attacchi ateniesi nel 415-413.
            Dopo un periodo di esilio, successivo alla battaglia di Cizico,
            rientrò in Sicilia nel 408. Trovò la morte nel tentativo di
            conquistare Siracusa.
            6) Peone ('Soccorritore') è epiteto di Apollo.
            Sull'invocazione ad Apollo e alle Muse cfr. Platone, Respublica
            427b.
            7) Crizia riprende la metafora militare che
            Ermocrate ha appena adottato.
            Secondo la maggior parte dei commentatori qui si alluderebbe a un
            terzo dialogo intitolato ad Ermocrate.
            8) Deadella memoria, figlia di Urano e della Terra:
            Crizia la invoca per ricordare i racconti riportati da Solone su
            Atlantide.
            9) La famiglia di Crizia vantava una discendenza
            dal "ghénos" di Solone.
            10) Cfr. Platone, Timaeus 23e.
            11) Cfr. Platone, Timaeus 24e.
            12) Cfr. Platone, Timaeus 24e-25d.
            13) Cfr. Platone, Timaeus 25c-d.
            14) Nell'Eutifrone (5 e seguenti) e nella
            Repubblica (libro 2, 378a-c) Platone formula un giudizio negativo
            sulle contese tra gli dèi per il possesso dì un territorio.
            Tuttavia nel Menesseno (237b-238a) Platone accetta il mito secondo
            cui Poseidone ed Atena si erano contesi l'Attica, con conseguente
            sconfitta del primo.
            15) Cfr. Platone, Politicus 267e-272b.
            16) In 112b Platone menziona un tempio ad Atene
            dedicato ad entrambe le divinità.
            17) Sulla autoctonia degli Ateniesi cfr. Platone,
            Menexenus 237b; Respublica libro 3, 415d-e; Sophista 247c; Politicus
            269b, 271a-c.
            18) Cfr. Platone, Timaeus 22d-23d.
            19) Mitici eroi dell'Attica. Probabilmente la loro
            menzione da parte di Platone tra gli eroi della storia mitica
            dell'Attica si spiega col fatto che essi nelle loro gesta ebbero in
            qualche modo a che fare con Poseidone, il fondatore di Atlantide.
            20) Eroe civilizzatore dell'Attica, pendant ionico
            del dorico Eracle. Fonti principali sulle sue gesta sono la Vita dì
            Teseo di Plutarco e le notizie conservate in Apollodoro e Diodoro
            Siculo. A Teseo la tradizione attribuisce il sinecismo di Atene,
            l'istituzione delle Panatenee, la conquista di Megara.
            21) Cfr. Platone, Respublica 451a-457e.
            22) Cfr. Platone, Respublica 369e-374e; 375a-376e;
            415a-417b.
            23) L'istmo di Corinto.
            24) Monte al confine tra l'Attica e la Beozia.
            25) Monte al confine tra l'Attica e la Beozia.
            26) Oropo, della quale è qui citato il territorio,
            è una città dell'Attica.
            27) Fiume che nasce dal monte Citerone e sfocia nel
            golfo euboico. Platone fornisce qui coordinate geografiche che
            assegnano all'Attica un'estensione maggiore di quella che la regione
            aveva ai suoi tempi.
            28) Il termine allude alla natura porosa del
            terreno ("phellós" in greco indica il 'sughero'), simile
            a una lava (cfr. Aristofane, Achamenses 273).
            29) Il diluvio di Deucalione fu dunque il quarto.
            Nel Timeo (23b) si dice genericamente che "prima ve ne furono
            molti".
            30) Fiumi dell'Attica.
            31) Collina situata nell'area occidentale di Atene,
            luogo abituale di raduno dell'assemblea.
            32) Monte a nord-est di Atene.
            33)
            Cfr. Platone, Respublica 461d-417a; 419a-424c; Leges 679b-d; 742;
            780c; 842b.
            34) Si veda Platone, Leges 737d-e, dove il
            numero dei cittadini dello stato ideale viene fissato a 5040. Vedi
            anche Respublica 460a.
            35) L'espressione ricorda il celebre "koinà tà
            tôn phílon" di ambito pitagorico. Cfr. Platone, Respublica
            423e-424a; Leges 739c-d.
            36) Cfr. Platone, Timaeus 26d-e, dove tuttavia non
            si fa allusione agli scritti, il nonno di Crizia, qui menzionato,
            era Crizia il Vecchio.
            37) Cfr. 109b.
            38) Lo stadio attico misurava metri 177,60.
            39) Atlante ed Eumelo, Amfere ed Euemone, Mnesea e
            Autoctono, Elasippo e Mestore. Azae e Diaprepe. I nomi
            che Platone adotta sono noti dai poemi omerici, ma nulla hanno in
            comune con i personaggi dell'epos.
            40) Questo personaggio non va confuso con il mitico
            Atlante, condannato a reggere il peso del mondo per aver preso parte
            alla guerra dei Titani contro Zeus.
            41) La prima menzione di questo metallo compare
            nello Scudo pseudoesiodeo (verso 122); cfr. anche Erodoto, libro 6,
            74; Aristotele, Respublica Atheniensium 7, 92b; Pseudo-Aristotele,
            Mirabilia 58, 834b). Filopono, nel suo commento agli Analitici
            aristotelici, sembra identificare l'oricalco con l'ottone. Questa
            identificazione tuttavia non convince e l'oricalco platonico
            conserva il suo alone di mistero.
            42) Probabilmente si tratta dell'uva e del grano.
            43) Difficile identificare questo frutto. Potrebbe
            trattarsi della mela (sulla base di Platone, Leges 819b-c).
            44) Secondo alcuni sono le olive o forse i limoni.
            45) Il plettro, equivalente a cento piedi, misura
            metri 29,60.
            46) Il piede attico equivale a metri 0,296.
            47) è una probabile allusione alle tecniche di
            decorazione dei templi cretesi. Una allusione alla abilità tecnica
            dei
            Cretesi nel canalizzare le acque compare inoltre in 117b.
            48) Figlie di Nereo, divinità del mare, sono
            normalmente indicate in numero di cinquanta (cfr. Pindaro, Isthmia
            6, 8).
            49) I 'portatori di lancia'. Lo stato di Atlante si
            basa su una struttura militare, con un potere politico fortemente
            accentrato (cfr. Platone, Respublica 567d; 575b sull'impiego di
            guardie del corpo in regimi tirannici).
            50) Il sacrificio del toro in onore di Poseidone è
            noto da Omero (Ilias, libro 20, verso 403) e dallo Pseudo-Esiodo (Scutum
            104).
            
            
            
            
            
            
              
              
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                Prima esposizione di libri del
                  "Fondo" in Palazzo Ubaldini con visione delle schede
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                  ricostruiscono il sito di Atlantide | 
              
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                  internazionale di studi geocartografici storici laboratorio di
                  ricerca iscritto al MIUR dell'Editore Ernesto Paleani  |